Corte di Cassazione, sentenza n. 29988 del 20 novembre 2018
La disciplina dettata dal citato art. 6, comma 2, in tema di divieto, a pena di nullità, di rinnovo tacito dei contratti delle p.a. per la fornitura di beni e servizi, è applicabile anche ai contratti stipulati antecedentemente all’entrata in vigore della normativa stessa (Cons. di Stato, sez. VI, n. 2434/2001; sez. V, n. 1508/1998). Il suddetto divieto, infatti, era connaturato al sistema che prevedeva (e prevede) la forma scritta ad substantiam dei contratti con la p.a., in base al quale la volontà di obbligarsi della P.A. non può dedursi, per implicito, da singoli atti, dovendo, viceversa, manifestarsi nelle forme, necessariamente rigide, richieste dalla legge, e ciò anche in caso di rinnovo o proroga dell’originaria convenzione negoziale, con la conseguenza che l’istituto della rinnovazione tacita del contratto non è compatibile con le regole dettate in tema di forma degli atti negoziali degli enti pubblici (Cass. n. 22994/2015, 9246/2000). Su questo sistema ha inciso l’art. 23 d.l. 2 marzo 1989, n. 66, conv. in legge 24 aprile 1989, n. 144, che ha introdotto una procedura rigorosa che subordina l’effettuazione di qualsiasi spesa alla deliberazione autorizzativa adottata nelle forme di legge, divenuta o dichiarata esecutiva, e all’impegno contabile registrato nel pertinente capitolo di bilancio di previsione, ed ha previsto una responsabilità personale e diretta del funzionario o dell’amministratore verso il privato fornitore per gli impegni assunti al di fuori o in violazione della procedura stessa. La suddetta disposizione trova applicazione «alle prestazioni e ai servizi resi in favore di amministrazioni provinciali, comuni e comunità montane successivamente alla sua entrata in vigore» (Cass. n. 15688/2008), quindi anche a quelle cui si riferisce la pretesa creditoria avanzata con riferimento al periodo da gennaio o marzo 1991 a marzo 1994.