TAR Lazio, sentenza n. 11494 del 27 novembre 2018
Si deve escludere la sussistenza di un potere di vigilanza dell’ANAC esercitabile “erga omnes” ai sensi dell’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 39/13 cit., si rileva che, in realtà, tale norma, come detto, orienta l’attività dell’Autorità nei soli confronti delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, tra cui non rientrano, all’evidenza, né l’azienda X né il dr. Y (ex Presidente di Autorità Portuale ora dipendente di X)).
I poteri “ispettivi e di accertamento” che l’ANAC è chiamata a svolgere, sia pure nell’accezione di “accertamento” specificata dal Consiglio di Stato, sono dunque limitati, soggettivamente, alle amministrazioni pubbliche in senso lato richiamate dalla norma e, oggettivamente, al conferimento di un “incarico pubblico”.
Sotto tale profilo, la limitazione dei poteri “ispettivi e di accertamento” è rinforzata dal comma 2 dell’art. 16 cit., secondo cui “L’Autorità nazionale anticorruzione, a seguito di segnalazione della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica o d’ufficio, può sospendere la procedura di conferimento dell’incarico con un proprio provvedimento che contiene osservazioni o rilievi sull’atto di conferimento dell’incarico, nonché segnalare il caso alla Corte dei conti per l’accertamento di eventuali responsabilità amministrative. L’amministrazione, ente pubblico o ente privato in controllo pubblico che intenda procedere al conferimento dell’incarico deve motivare l’atto tenendo conto delle osservazioni dell’Autorità.”
Secondo quanto ricostruito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 126/2018, anche il comma 2 si sofferma sotto il profilo soggettivo sui soli incarichi conferiti da “amministrazioni pubbliche”, come attestato anche dal richiamo alla possibile segnalazione alla Corte dei Conti.
Solo il terzo comma, poi, secondo cui: “L’Autorità nazionale anticorruzione esprime pareri obbligatori sulle direttive e le circolari ministeriali concernenti l’interpretazione delle disposizioni del presente decreto e la loro applicazione alle diverse fattispecie di inconferibilità degli incarichi e di incompatibilità”, introduce un più generale potere di intervento in ambito non più limitato nel senso dei due commi precedenti; ma ciò solo al limitato fine di predisporre pareri su atti amministrativi riguardanti l’interpretazione del d.lgs. n. 39/13, che – peraltro – si ricorda reca nuovamente un riferimento soggettivo ben preciso legato solo adisposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi “presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190.”.
A ciò deve aggiungersi che lo stesso art. 1 della legge n. 190/12, nel testo entrato in vigore dapprima attraverso lo stesso d.lgs. n. 39/13 e poi con il d.lgs. n. 97/2016, distingue diverse fattispecie, dato che, al comma 3, sono sì previsti poteri ispettivi a favore dell’ANAC ma “…Per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 2, lettera f), e soltanto “…mediante richiesta di notizie, informazioni, atti e documenti alle pubbliche amministrazioni”, potendo ordinare l’adozione di atti o provvedimenti richiesti dai piani di cui ai commi 4 e 5 e dalle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dalle disposizioni vigenti, ovvero la rimozione di comportamenti o atti contrastanti con i piani e le regole in questione.
Le funzioni di cui al comma 2, lett. f), sono però solo quelle per le quali l’Autorità “…esercita la vigilanza e il controllo sull’effettiva applicazione e sull’efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni ai sensi dei commi 4 e 5 del presente articolo e sul rispetto delle regole sulla trasparenza dell’attività amministrativa previste dai commi da 15 a 36 del presente articolo e dalle altre disposizioni vigenti;”.
Nuovamente emerge che l’intervento dell’ANAC è limitato nei confronti delle “pubbliche amministrazioni” e, per quanto riguarda i poteri di vigilanza e controllo, solo sull’effettiva applicazione dei commi 4 e 5 dell’art. 1, che si occupano dell’adozione di meri atti programmatici.
Per quanto riguarda il coinvolgimento di soggetti “esterni” alla p.a., opera quanto previsto dal medesimo comma 2, lett. e), secondo cui l’Autorità “…esprime pareri facoltativi in materia di autorizzazioni, di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, allo svolgimento di incarichi esterni da parte dei dirigenti amministrativi dello Stato e degli enti pubblici nazionali, con particolare riferimento all’applicazione del comma 16-ter…,”.
E’ evidente e condivisibile, dunque, la tesi dei soggetti ricorrenti, secondo la quale l’unico ambito che il legislatore ha riconosciuto all’ANAC per intervenire nell’applicazione dell’art. 53, comma 16 ter, d.lgs. n. 39/13 cit. in relazione a “soggetti non riconducibili alla p.a.” è quello circoscritto all’adozione di pareri “facoltativi” in materia di autorizzazioni allo svolgimento di incarichi esterni nel senso ora riportato.
Come osservato dal Consiglio di Stato, pertanto, nel silenzio della legge, non è dato all’interprete creare in surroga la norma, commisurando l’efficacia delle disposizioni date rispetto alle finalità perseguite, fino ad innovare l’assetto normativo per realizzare obiettivi di massima.
Ciò perché, in base al principio di legalità, che è “cardine irrinunziabile dello Stato di diritto”, compete soltanto alla legge di porre nuove norme restrittive delle libertà o di modificazione delle competenze da essa stabilite e non vi è dubbio che le norme che l’ANAC ha inteso direttamente applicare sono ben restrittive della libertà economica del soggetto “privato”.
Così pure condivisibile è la ricostruzione di parte ricorrente, secondo la quale l’art. 21 d.lgs. n. 39/13 si limita solo ad estendere ad altre categorie di personale “pubblico” – non strettamente “dipendente” – il divieto in questione, senza però ampliare i poteri dell’ANAC, che continuano ad essere limitati secondo quanto finora rappresentato.
Proprio perché non sussiste un potere di intervento diretto dell’ANAC come effettuato con il provvedimento impugnato, non sussiste il “vuoto normativo” da quest’ultima ipotizzato, dato che il regime del “pantouflage” è soggetto a un regime di applicazione diretta che non coinvolge l’ANAC ma si rivolge all’attuazione di strumenti generali, quali il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), che infatti prende in considerazione ipotesi di inserimento di apposite clausole negli atti di assunzione di personale “pubblico”, e il Documento di Gara Unico Europeo (DGUE), in correlazione con quanto previsto dall’art. 85 d.lgs. n. 50/2016, sulle cause di esclusione da una procedura pubblica.
La violazione delle suddette clausole o della dichiarazione ai sensi del DGUE comportano la “nullità” del contratto con il singolo dipendente – da far valere nelle opportune sedi – o l’interdittiva a contrarre per l’imprese inadempienti, senza che per questo necessiti l’individuazione di un soggetto competente al compimento degli atti derivanti dall’accertamento della violazione del comma 16 ter cit., come invece invocato dall’ANAC.
In tal senso il meccanismo di attuazione dell’art. 53, comma 16 ter, cit. è un meccanismo “diffuso”, in cui l’ANAC è coinvolta, “ex ante”, con pareri facoltativi di sostegno e indirizzo all’attività della p.a. (art. 1, comma 2, lett. e), l. n. 190/12) ed, “ex post”, con attività di ispezione e vigilanza nei confronti delle sole p.a. sul rispetto della norma, nei sensi di cui al PNA o al DGUE.
Non sussiste, dunque, alcun potere – legislativamente individuato – dell’ANAC per intervenire direttamente ex art. 21 cit. nei confronti di uno o più soggetti “privati” – indipendentemente dalle problematiche sollevate da X in ordine alla sua conformazione al diritto svizzero e non a quello nazionale e in ordine al luogo di conclusione del contratto, di cui al motivo aggiunto – come accaduto invece nel caso di specie.