Consiglio di Stato, sentenza n. 6822 del 30 novembre 2018
Si deve infatti ricordare che:
— con il subappalto di cui all’art. 105 comma 2, del D. Lgs. 18.4.2016 n. 50 (sulla scia della fattispecie di cui all’art. 1676 e segg. c.c.), l’appaltatore trasferisce a terzi l’esecuzione direttamente a favore della stazione appaltante di una parte delle prestazioni negoziali, configurando così un vero e proprio contratto – derivato di carattere trilaterale;
— al contrario, il contratto di subfornitura è una forma non paritetica di cooperazione imprenditoriale nella quale il ruolo del subfornitore (es. componentistica di beni complessi) si palesa solo sul piano interno del rapporto commerciale e di mercato tre le due imprese. In tale fattispecie il requisito della “conformità a progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, dell’impresa committente”, di cui all’art. 1 della legge 18 giugno 1998, n. 192, comporta l’inserimento del subfornitore nel processo produttivo proprio del committente (cfr. Cassazione civile, sez. III, 25/08/2014, n. 18186).
In sostanza, mentre il subappaltatore assume di eseguire in tutto o in parte una prestazione dell’appaltatore (art. 1655 e ss. c.c.) a diretto beneficio del committente, il subfornitore si impegna a porre nella disponibilità dell’appaltatore un certo bene da inserire nella produzione dell’appaltatore, per cui il relativo rapporto rileva esclusivamente sotto il profilo privatistico dei rapporti bilaterali di carattere commerciale fra le aziende.
Alla stregua dei detti criteri si deve concludere che nel caso di specie non vi sono dubbi che ricorresse un contratto di subfornitura — e non di subappalto — in quanto l’apporto del subfornitore (Laboratorio Giusto) si inseriva nel complesso del processo produttivo dell’appaltatore.
In conseguenza, nel caso di specie, trattandosi di subforniture di un prodotto, anche la dichiarazione dell’aggiudicataria di non avvalersi di subappaltatori era dunque perfettamente coerente con la struttura del contratto.