Corte di Cassazione, sentenza n. 31997 del 11 dicembre 2018
Con precedenti pronunce si è osservato, in estrema sintesi, che il rimborso forfettario del 2%, previsto dall’art. 4, d.m. 5 novembre 1999, a carico di S.C.C.I. s.p.a., spetta all’INPS e non all’Avvocatura dell’Istituto, trattandosi di compenso per gli oneri complessivamente sostenuti dall’ente per la riscossione dei crediti e non già di competenze dovute per l’attività legale, ai sensi dell’art. 30, comma 2°, d.P.R. n. 411/1976.
Si è aggiunto che i ricorrenti non potevano invocare l’accordo sindacale del 4.6.2003, intervenuto in materia non delegata alla contrattazione integrativa, né il contratto integrativo del 19 dicembre 2005, in assenza di un’espressa adesione del dipendente al regime giuridico concordato dalle parti collettive.
Infine si è evidenziato che i plurimi motivi di illegittimità della delibera del Consiglio di amministrazione dell’INPS n. 89/2002 rendevano la revoca da parte del Commissario straordinario dell’Istituto un mero atto di conformazione all’ordinamento del pubblico impiego c.d. contrattualizzato, in cui vige il principio inderogabile secondo cui l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi, da stipularsi secondo i criteri e le modalità previste nel titolo III del d.lgs. n. 165/2001. 3.1. A detto orientamento il Collegio intende dare continuità, perché i principi affermati resistono a tutti i rilievi formulati dai ricorrenti i quali, sostanzialmente, hanno continuato a fare leva sugli atti deliberativi adottati dall’Istituto che, a loro dire, conterrebbero il riconoscimento, totale o parziale, del credito fatto valere in giudizio. Al riguardo, peraltro, si deve ribadire che «In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, l’adozione da parte della P.A. di un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente, di per sé, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore medesimo, giacché la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, con la conseguenza che il diritto si stabilizza in capo al dipendente solo qualora l’atto sia conforme alla volontà delle parti collettive.» ( Cass. n. 15902/2018).