Consiglio di Stato, sentenza n. 12 del 2 gennaio 2019
Va in primo luogo considerato, come del resto fatto dal primo giudice, che il richiamato art. 52 del Regolamento per la disciplina dei procedimenti amministrativi e per il diritto di accesso non attribuisce al singolo consigliere comunale un generale diritto di accesso in ragione del sol fatto di rivestire detta carica istituzionale, bensì, strumentalmente, lo riconnette all’esercizio delle sue funzioni all’interno dell’assemblea di cui fa parte.
Detto in altri termini, non appare sufficiente rivestire la carica di consigliere per essere legittimati sic et simpliciter all’accesso, ma occorre dare atto che l’istanza muova da un’effettiva esigenza collegata all’esame di questioni proprie dell’assemblea consiliare.
Del resto, la finalizzazione dell’accesso ai documenti in relazione all’espletamento del mandato costituisce il presupposto legittimante ma anche il limite dello stesso, configurandosi come funzionale allo svolgimento dei compiti del consigliere (Cons. Stato, V, 26 settembre 2000, n. 5109).
Il diritto di accesso di cui trattasi, comunque, riguarda esclusivamente gli “atti, anche interni, formati dall’amministrazione o comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa” (art. 31, comma 2 del Regolamento cit.), non essendo previste specifiche deroghe per i consiglieri comunali (comma 4).
Ciò premesso, la richiesta a suo tempo inoltrata dall’odierno appellante non aveva ad oggetto degli atti interni dell’amministrazione comunale (ovvero da questi utilizzati ai fini dello svolgimento della propria attività istituzionale), bensì, innanzitutto, una nota della Procura regionale della Corte dei Conti con la quale venivano chiesti all’amministrazione alcuni riscontri nell’ambito di uno specifico procedimento istruttorio. In breve, la documentazione richiesta, come ben sintetizzato in sentenza, atteneva ad un procedimento aperto dalla magistratura contabile, ancorché tale indagine fosse collegata ad una determinata attività dell’Ente territoriale.
La vicenda per cui è causa, dunque, fuoriusciva dal perimetro di applicazione dell’art. 52 del citato Regolamento comunale (e, più in generale, dall’art. 43 Tuel), con l’effetto che le eccezionali prerogative riconosciute da tale norma ai consiglieri comunali dovevano considerarsi inapplicabili, tanto più a fronte di previsioni di legge che prevedessero invece un regime speciale di segretezza o riservatezza, nell’interesse generale o di terzi.
Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, un regime di tale natura, avente tra l’altro carattere speciale, sia rinvenibile nelle disposizioni del d.lgs 26 agosto 2016, n. 174 (Codice della giustizia contabile) che disciplinano – nell’ambito delle attività di indagine della Procura contabile – le ipotesi di accesso al fascicolo istruttorio (art. 71), la riservatezza della fase istruttoria (art. 57) e le comunicazioni dell’archiviazione dei procedimenti istruttori (art. 69).
Alla luce di tali disposizioni, come ben nota il giudice di prime cure, deve concludersi che la possibilità dell’accesso alla documentazione istruttoria è riservata ai soli soggetti interessati dall’attività inquirente (in particolare, quelli invitati a dedurre), nel rispetto dei principi del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e ciò all’evidente fine di evitare che la gestione della documentazione contenuta nel fascicolo istruttorio possa in concreto comportare nocumento alla riservatezza dei soggetti coinvolti negli accertamenti; del resto, ad ulteriormente ribadire tale esigenza, lo stesso provvedimento di archiviazione viene inoltrato solamente a chi abbia assunto formalmente la veste di “invitato a dedurre” (ex art. 69, comma 4, d.lgs. n. 174 del 2016), dovendo in linea di principio rimanere ignoto ai terzi.