Corte di Cassazione, sentenza n. 4146 del 13 febbraio 2019
La fattispecie verte in materia di risarcimento del danno biologico, jure hereditatis, per essere un ragazzo sopravvissuto pochi minuti dopo un sinistro stradale La Suprema Corte, richiamando S.U. 22 luglio 2015 n. 15350, ha stabilito che se la morte è immediata o segue alle lesioni “entro brevissimo tempo” non sussiste diritto al risarcimento jure hereditatís alla luce di un orientamento risalente che in tal modo le Sezioni Unite hanno confermato, osservando altresì che l’attuale impostazione pone “il danno al centro” del sistema della responsabilità civile, sempre più oggettiva; danno che deve identificarsi (come si evince dalla sentenza 372/1994 della Consulta) in “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridicamente soggettiva”. Nel caso di morte per atto illecito – rilevano ancora le Sezioni Unite – il conseguente danno è la perdita del bene giuridico “vita”, che è “bene autonomo”, fruibile solo dal titolare e non reintegrabile per equivalente. “La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”… E poiché una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso… poiché… ciò di cui si discute è il credito risarcitorio, certamente trasmissibile, ma) dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”. Richiamato il c.d. argomento epicureo come fondante questa soluzione, le Sezioni Unite hanno pure corroborato la loro impostazione sulla base della necessità di una giustificata proporzione del risarcimento al danno.