Nel caso di mancata impugnazione della risoluzione del contratto, la causa di esclusione dura tre anni dalla conclusione del procedimento amministrativo

Consiglio di Stato, sentenza n. 2895 del 6 maggio 2019

La giurisprudenza amministrativa ha, invero, ritenuto contrastante con il principio di proporzionalità una esclusione che trovi fondamento in una risoluzione in danno dell’impresa adottata più di tre anni prima della pubblicazione del bando di gara, ed ha individuato nel lasso temporale triennale un limite coerente con l’applicazione di tale principio di derivazione eurounitaria (Tar Lombardia, sez. IV, 23 marzo 2017, n. 705).
Il riferimento alla definitività dell’accertamento (peraltro inesistente nel disposto dell’art. 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE) va, dunque, inteso nel senso che il termine decorre da quando è stato adottato l’atto definitivo, cioè di conclusione del procedimento di risoluzione.
Del tutto illogico risulterebbe, invero, prevedere un limite temporale di durata della causa di esclusione nel caso in cui la stessa sia stata oggetto di impugnazione (decorrente dalla sentenza definitiva) e invece non prevederlo nel caso di mancata impugnazione, lasciando dunque che la causa possa operare a tempo indeterminato. Nel secondo caso bisognerebbe, semmai, riservare un trattamento migliore a chi non si è opposto alla risoluzione con l’impugnazione, come ad esempio nell’ipotesi disciplinata dall’art. 16 della legge n. 689 del 1981, che permette il pagamento di una sanzione in misura ridotta (la cosiddetta “oblazione”) a chi non impugna l’accertamento dell’infrazione di una violazione di una norma in materia di fattispecie depenalizzate.

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