TAR Napoli, sentenza n. 2486 del 9 maggio 2019, n. 2486
Al fine di potersi difendere davanti al Consiglio di Stato e quindi di tutelare la propria posizione soggettiva, correlata ad interessi giuridicamente rilevanti, il ricorrente ha avanzato istanza di accesso agli atti in data 25 giugno 2018, ai sensi ai sensi degli articoli 22 e ss. della l. n. 241/90 e articoli 5 e ss. del d.lgs. n. 97/16, finalizzata all’ostensione di copia di:
« – tutte le licenze commerciali di qualunque natura rilasciate nel comune di Serrara Fontana;
– dei certificati di agibilità di dette attività commerciali (alberghi, ristoranti, negozi, ecc.);
– delle domande di condono non ancora evase ovvero a cui non è stata ancora concessa la sanatoria in relazione ad immobili in cui vengono esercitate attività commerciali per le quali è stata rilasciata licenza di commercio;
– di tutte le continuità d’uso rilasciate per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata e concessa visto che il T.A.R. non l’ha riconosciuta come equipollente del necessario requisito dell’agibilità»
il Collegio ha ritenuto che quella formulata dal ricorrente non possa considerarsi istanza massiva tale da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione.
Come di recente affermato, il diniego opposto –motivato con riferimento alla compromissione del buon andamento della Pubblica Amministrazione, per il carico di lavoro ragionevolmente ed ordinariamente esigibile dagli uffici – non può ritenersi tout court fondato (T.A.R. Firenze, n. 133/2019).
Il buon andamento della Pubblica Amministrazione rappresenta – in qualunque forma di accesso – un valore cogente e non recessivo, la cui sussistenza, tuttavia, non può essere genericamente affermata bensì adeguatamente dimostrata da parte dell’amministrazione che nega l’accesso (cfr. Circolare della Funzione Pubblica 30 maggio 2017 n. 2/2017).
Il dialogo endoprocedimentale di cui alla menzionata circolare, impone che qualora la trattazione dell’istanza di accesso civico generalizzato sia suscettibile di arrecare un pregiudizio serio ed immediato al buon funzionamento della pubblica amministrazione, quest’ultima «prima di decidere sulla domanda, dovrebbe contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità».
Anche il punto 4.2. della delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016 prevede che “nei casi particolari in cui venga presentata una domanda di accesso per un numero manifestamente irragionevole di documenti, imponendo così un carico di lavoro tale da paralizzare, in modo molto sostanziale, il buon funzionamento dell’amministrazione, la stessa può ponderare, da un lato, l’interesse dell’accesso del pubblico ai documenti e, dall’altro, il carico di lavoro che ne deriverebbe, al fine di salvaguardare, in questi casi particolari e di stretta interpretazione, l’interesse ad un buon andamento dell’amministrazione”. Tale norma agendi deve essere intesa, alla luce dei generali principi di proporzionalità e ragionevolezza, come un invito a cercare una soluzione consensuale, ad esempio mediante la sollecitazione del richiedente a rimodulare la propria istanza in modo da ridurne l’ambito, così da salvaguardare sia l’interesse pubblico al buon andamento della p.a. sia l’interesse, anch’esso di rilievo pubblicistico, di garantire l’accesso generalizzato ai dati in possesso della amministrazione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II Ter, 5 maggio 2018, n. 4977).
Come di recente affermato dal giudice amministrativo, detto comportamento deve ritenersi in linea con il percorso e le finalità dell’accesso civico atteso che il principio del dialogo cooperativo con i richiedenti deve ritenersi un valore immanente alle previsioni della legge istitutiva dell’accesso generalizzato e della finalità di condividere con la collettività il patrimonio di informazioni in possesso della Pubblica Amministrazione. (T.A.R. Toscana, Firenze, sez. I, 28 gennaio 2019, n. 133, T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, 19 febbraio 2018, n. 234).
Per quanto riguarda la presente fattispecie, la richiesta del ricorrente non costituiva ragione, per come formulata, per procedere, sic et simpliciter, al rigetto definitivo dell’istanza, (senza che venisse nemmeno rappresentato in concreto la mole di documenti in discussione); ciò avrebbe imposto, infatti, di attivare un dialogo procedimentale teso a permettere al ricorrente una diversa specificazione della documentazione di interesse (e ragionevolmente ostensibile), anche rappresentando allo stesso l’effettiva mole di dati presenti (“mole” di dati tutta da far emergere considerate le dimensioni dell’ente che, come detto sopra, supera di poco i tremila abitanti).