Corte dei Conti, Terza Sezione Centrale Di Appello, sentenza n. 142 del 29 luglio 2019
Nei giudizi di responsabilità erariale il dolo è costituito dall’atteggiamento psicologico dell’autore il quale ponga in essere una violazione in modo cosciente e volontario, id est, nella consapevolezza dell’esistenza e portata della norma e con un atto intenzionalmente volto a violarla; la verifica di tale elemento, che può essere condotta in base a tutti gli elementi che possano evidenziare o escludere tale atteggiamento psicologico, non coincide con la verifica dell’”occultamento doloso “ del fatto, rilevante ai diversi fini di cui all’art. 1, comma 2, della legge n.20/1994, e cioè per determinare il momento di decorrenza della prescrizione in conformità al criterio generale, di cui all’art. 2935 c.c., per il quale la prescrizione non può decorrere da un momento antecedente a quello in cui il diritto può essere fatto valere dal danneggiato, momento che si identifica appunto, nel caso di occultamento doloso del fatto, nel momento della “scoperta del fatto” medesimo.
Si tratta di due nozioni del tutto diverse, rilevanti a fini diversi, e i due elementi (dolo e occultamento doloso) possono anche non coesistere necessariamente, se si considera che l’autore di un fatto doloso può non adoperarsi anche per porre in essere quegli accorgimenti atti a consentire o facilitare l’occultamento del fatto illecito compiuto, senza che ciò muti la natura del suo atteggiamento psicologico nella violazione commessa.
Ne consegue l’infondatezza dell’argomentazione difensiva per la quale la mancata indagine sull’eventuale occultamento doloso del fatto vizierebbe l’argomentazione logica con la quale il giudice ha tratto e motivato l’esistenza del dolo dell’autore.
Per contro, il Collegio ritiene che tale motivazione sia sufficiente ed adeguata a sostenere la conclusione dell’esistenza dei due elementi, nucleo del dolo, della consapevolezza ed intenzione della violazione: la conoscenza dell’obbligo di richiedere autorizzazione per attività ulteriori svolte in regime di esclusività è insita nelle ordinarie conoscenze professionali del convenuto, medico professionista in rapporto di dipendenza esclusiva dalla ASL, nelle condizioni sia personali che professionali adeguate a consentirgli anzi imporgli, come parte del proprio bagaglio di conoscenze professionali, la conoscenza ed il rispetto di tale norma.
In ogni caso, anche quando egli ha fattivamente dimostrato di averne conoscenza, chiedendo la prescritta autorizzazione per successivi incarichi, come affermato in citazione e non contraddetto dalla difesa, ha continuato anche per tali periodi a non riversare i compensi giá percepiti in relazione ai precedenti incarichi non autorizzati, e ciò conferma che l’omissione è stata intenzionale