Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 35624 dep 9 agosto 2019
Secondo la prospettazione accusatoria, la truffa sarebbe consistita nel fatto che il ricorrente, quale titolare di farmacia, avrebbe staccato le fustelle di farmaci ordinati da alcuni clienti, ma poi dagli stessi non ritirati, e le avrebbe attaccate sulle ricette mediche che poi sarebbero state presentate dall’ASL di competenza per il rimborso, effettivamente corrisposto.
Nel caso in esame, come evidenziato dalla Corte di appello, la condotta non può ritenersi rientrare nel reato di cui all’art. 316 ter cod.pen. (“Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato”), ma in quella più grave di truffa ai danni dello Stato, trattandosi di rimborsi ottenuti con l’inganno; infatti, secondo quanto previsto dal DPR 371/98, il farmacista deve consegnare il documento contabile e le ricette sulle quali è stato applicato il bollino a lettura ottica ai fini di ottenere il rimborso e non limitarsi a compilare il documento; il fatto che possano essere sottoposte alla Commissione le ricette “eventualmente mancanti del bollino” (art.7 comma 4) non toglie che la procedura prevista è quella in cui il documento sia completo di ricette e bollino, per cui il comportamento del farmacista che applichi bollini per farmaci non consegnati costituisce un “quid pluris” rispetto alla semplice presentazione della richiesta di rimborso, con conseguente sussistenza proprio degli “artifici e raggiri” di cui all’art. 640 comma 2 cod.pen. ed induzione in errore del Servizio Sanitario Nazionale, che riconosce un rimborso in base a presupposti non veritieri.