Abolire la pausa pranzo e chiedere 15 minuti di lavoro in più, significa imporre lavoro straordinario (che va pagato)

Corte di Cassazione, sentenza n. 21325 del 12 agosto 2019

Con sentenza del 3 agosto 2013, la Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione resa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere e accoglieva la domanda proposta da dipendenti nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale, riconoscendo il diritto degli originari ricorrenti a vedersi retribuire, con la maggiorazione prevista per il lavoro straordinario, il tempo, pari a 15 minuti, che la ASL, una volta abolita la pausa pranzo e disposta, in sostituzione, l’attribuzione di buoni pasto da spendere presso terzi convenzionati, aveva preteso fosse recuperato senza retribuzione per ogni giorno di effettiva percezione del buono.
La Suprema Corte ha ritenuto di condividere la qualificazione della domanda degli originari ricorrenti da parte del giudice del merito, quale imposizione di lavoro straordinario della richiesta della ASL di una prestazione lavorativa di durata ulteriore rispetto a quella ordinaria pari a 15 minuti per ogni giornata in cui veniva corrisposto il buono pasto, trattavasi di una azione di accertamento finalizzata alla verifica del carattere aggiuntivo e dunque straordinario della prestazione protratta per ulteriori 15 minuti, in relazione alla quali risultavano essenziali e, così, sufficienti ai fini dell’assolvimento degli oneri di allegazione e prova l’indicazione delle fonti contrattuali da cui era desumibile l’obbligo della ASL di consentire, durante l’orario di lavoro, la fruizione di una pausa per la consumazione del pasto e la specificazione in fatto della circostanza per cui i dipendenti per ogni giorno di effettiva percezione dei buoni pasto, puntualmente indicato, si sono visti prolungare di 15 minuti l’orario di lavoro.

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