Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 35988 dep 13 agosto 2019
Il Tribunale militare di Napoli aveva dichiarato X colpevole del reato di vilipendio della Repubblica, aggravato ai sensi degli artt. 81 e 47, primo comma n. 2 1 cod. pen. mil. pace, e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione militare.
Secondo i giudici del merito, il tenente di vascello pilota della Marina Militare Italiana, il 27.12.2015, aveva scritto sul proprio profilo Facebook, una frase che le sentenze avevano ritenuto di significato offensivo in danno dell’Italia, perché quest’ultima era stata indicata nel testo incriminato come uno «Stato di merda»
La Suprema Corte ha confermato la condanna ricordando che il reato di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel disprezzare, tenere a vile, ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico alle istituzioni predette, considerate nella loro entità astratta ovvero concreta, ossia nella loro essenza ideale oppure quali enti concretamente operanti (Sez. 1, n. 1427 del 17/10/1977 – dep. 07/02/1978, Tatarella, Rv. 137859).
L’elemento soggettivo del delitto di vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate consiste nel dolo generico, con conseguente irrilevanza dei motivi particolari che possano aver indotto l’autore a commettere consapevolmente il fatto vilipendioso addebitato (Sez. 1, n. 6144 del 07/03/1979 – deo. 06/07/1979, Gatti, Rv. 142461).
È stato chiarito, inoltre, che il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.) e, correlativamente, quello di associarsi liberamente in partiti politici (art. 49 Cost.) per manifestare determinate ideologie, al fine di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale, trovano un limite non superabile nella esigenza di tutela del decoro e del prestigio delle istituzioni, per cui l’uso di espressioni di offesa, disprezzo, contumelia costituisce vilipendio punibile ex art 290 cod. pen. (Sez. 1, n. 14226 del 29/06/1977 – dep. 11/11/1977, Venza, Rv. 137274).
Il diritto di critica e libera manifestazione del pensiero supera il suo limite giuridico costituito dal rispetto del prestigio delle istituzioni repubblicane e decampa, quindi, nell’abuso del diritto, cioè nel fatto reato costituente il delitto di vilipendio, allorché la critica trascenda nel gratuito oltraggio, fine a se stesso (Sez. 1, n. 5864 del 01/02/1978 – dep. 19/05/1978, Salviucci, Rv. 139007).