Corte di Cassazione Penale, sentenza n. 23891 del 29 maggio 2019
Sussiste il “falso innocuo” quando l’infedele attestazione, nel falso ideologico, è del tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplica effetti sulla sua funzione documentale, funzione documentale che non è solo quella immediatamente riconducibile alla natura dell’atto e allo scopo per il suo tramite realizzato, essendo la funzione documentale dell’atto pubblico, e a maggior ragione di quello fidefaciente, non circoscrivibile al suo contenuto inteso in senso stretto, funzionalmente e strettamente correlato, cioè, allo specifico atto posto in essere, non essendo questo scindibile dal complessivo contesto probatorio-documentale in cui si inserisce, che è, a ben vedere, quello che gli conferisce il crisma della sua stessa natura pubblica nella parte in cui dà atto della sua provenienza da un determinato pubblico ufficiale, o contribuisce, comunque, a dargli tale valenza ( così ad esempio la indicazione della data o del luogo possono anch’essi assumere rilievo documentale sotto il profilo penale laddove frutto di dolosa falsificazione, sebbene possa non rilevare ai fini dell’uso dell’atto, inteso, in senso stretto, funzionalmente correlato all’atto medesimo, che esso sia stato compiuto in un determinato giorno o luogo ).
Con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede e l’affidamento che i terzi possono fare su quanto da esso risulti, non solo con riferimento ai suo contenuto intrinseco ma anche alla sua provenienza, potendo difficilmente rivelarsi irrilevante sotto il profilo documentale non solo la circostanza che un documento pubblico – nel caso di specie il verbale di un pubblico ufficiale- sia stato posto in essere da un soggetto in luogo di un altro, sia pure con la medesima qualifica, ma anche quella secondo cui l’atto risulti proveniente anche da soggetti ulteriori che in realtà non hanno partecipato all’atto, risultando tradita in entrambi i casi la stessa natura pubblica dell’atto medesimo (detta conclusione è ancora più chiara se si rammenta che, nella esegesi delle disposizioni che puniscono i falsi, è stato sempre usato come criterio discretivo il fatto che la condotta incriminata abbia o meno messo in pericolo il bene della pubblica fede; e che ciò che rileva ed è sufficiente è il dolo generico e giammai potrebbe assumere rilevanza il motivo della falsità; di talchè, insindacabile il motivo della falsa attestazione, ciò che rileva non può che essere la consapevole e volontaria falsità dell’attestazione medesima ).