Corte di Cassazione, sentenza n. 23328 del 19 settembre 2019
Quanto al tema della prova dell’adeguatezza dell’informazione sugli interventi fornita dai sanitari alla paziente, la Corte territoriale ha ritenuto di poter estendere il consenso validamente espresso per iscritto anche agli interventi successivi. La premessa giuridica non è condivisibile perché opera, in parte qua, il principio dell’inadeguatezza del consenso e, prima ancora, della informazione, ove il consenso sia prestato apponendo la firma su un modulo prestampato e generico.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di attività medico-chirurgica, il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, non essendo all’uopo idonea la sottoscrizione, da parte del paziente, di un modulo del tutto generico, né rilevando, ai fini della completezza ed effettività del consenso, la qualità del paziente, che incide unicamente sulle modalità dell’informazione, da adattarsi al suo livello culturale mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (Sez. 3, Sentenza n. 2177 del 04/02/2016, Rv. 639069 – 01).
Peraltro, in considerazione del carattere riparatorio degli interventi chirurgici successivi al primo e che si inserivano nell’ambito di un pregiudizio già verificatosi, il profilo relativo alla preventiva informazione non poteva non assumere un carattere particolarmente pregnante, dovendosi tradurre in comunicazioni dettagliate e specifiche al fine di consentire alla paziente di conoscere gli esatti termini della patologia determinata dai pregressi interventi e le concrete prospettive di superamento di quelle criticità. Pertanto, le peculiari caratteristiche dell’obbligo di informazione risultano del tutto incompatibili con le generiche indicazioni fornite dai sanitari prima del primo intervento per come accertate dai giudici di merito.
In definitiva, dal carattere “riparatorio” degli interventi successivi al primo e dall’esito non risolutivo degli stessi, deriva che l’onere di dimostrare che, se adeguatamente informata, la paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento non ricade su quest’ultima. Tale principio, infatti, opera nell’ipotesi, non ricorrente nel caso di specie, di intervento correttamente eseguito (Cass. civ. Sez. 3″, Sent., 9-2- 2010, n. 2847).