Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Veneto, sentenza n. 182 del 20 novembre 2019
Osserva il Collegio che l’art. 19 del D.lgs 165/2001 ha una formulazione letterale che non poteva (e non può) lasciare adito a dubbio ermeneutico alcuno in relazione al necessario possesso del titolo di studio della laurea: la “particolare specializzazione professionale” che è requisito per l’attribuzione dell’incarico, infatti, deve essere comprovata “dalla formazione universitaria e postuniversitaria, post universitaria, da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro…”. Requisito culturale e di esperienza lavorativa dunque, non possono in alcun modo essere ritenuti, anche solo sulla base della littera legis, alternativi tra loro, ma debbono, coerentemente con la ratio legis, sussistere congiuntamente. Come osservato, infatti, già prima dell’intervento del legislatore del 2009 dalla Sezione del controllo di legittimità su atti del Governo di questa Corte con la delibera n. 3/2003 del 9 gennaio 2003, “il criterio secondo il quale il legislatore ha inteso disciplinare l’immissione nell’esercizio di funzioni dirigenziali di soggetti, quali essi siano, in precedenza già non investiti di tale qualifica, risulta evidentemente informato alla volontà di acquisire professionalità estranee, tali da presentare qualità aggiuntive e comunque non minori rispetto ai già elevati requisiti previsti per le nomine di funzionari appartenenti ai ruoli dirigenziali. Tanto premesso, consegue da ciò attraverso una lettura sistematica dell’art. 19, c. 6°, che la facoltà da tale norma prevista richiede, nei suoi destinatari, il concorrente possesso di una particolare specializzazione, sia professionale, che culturale e scientifica; quando si passi all’accertamento di tali requisiti, in relazione alle funzioni da attribuire, l’interprete, dal canto suo, non può sottrarsi alla verifica, sotto ogni profilo, della presenza di tutti gli elementi che complessivamente rendono il soggetto idoneo all’incarico. Ne discende che, ferma rimanendo l’esigenza dell’accertamento di un livello di formazione culturale identificabile nel possesso della laurea, gli elementi che configurano e completano in estranei il profilo della professionalità debbano, insieme ad altri, ricavarsi dal già disimpegnato esercizio di funzioni almeno di pari rilevanza di quelle previste nel nuovo compito. Quindi, oltre all’accertato possesso di sufficiente formazione culturale, in un contesto normativo in cui è però prevista l’attribuzione di incarichi dirigenziali previa verifica della sussistenza di livelli di formazione particolarmente elevati, occorre che la valutazione venga estesa ad un puntuale esame dei curricula degli incaricandi”. L’aver conferito, da parte del convenuto, un incarico dirigenziale a soggetto non in possesso di diploma di laurea costituisce una violazione delle predette disposizioni, integrando l’elemento oggettivo della responsabilità amministrativa. Alla luce di tali consolidati orientamenti, corretto appare, quindi, il criterio di quantificazione del danno utilizzato dalla Procura e, cioè, la differenza fra le retribuzioni percepite dal dipendente in dipendenza dall’incarico dirigenziale e quelle che gli sarebbero spettate qualora avesse ricevuto il riconoscimento di una posizione organizzativa quale funzionario di cat. D5 (questa sì, legittima e conforme alla normativa e alle disposizioni contrattuali applicabili ratione temporis: