Se il privato non verifica le dichiarazioni dei dipendenti pubblici, paga a titolo di sanzione il doppio di quanto pagato per l’incarico non autorizzato.

Corte di Cassazione, sentenza n. 30869 del 26 novembre 2019

L’ Agenzia delle Entrate aveva rivendicato nei confronti di X spa il pagamento delle sanzioni amministrative (il doppio del pagamento effettuato) correlate all’avvenuta utilizzazione di attività professionali rese dal pubblico dipendente Y in assenza della autorizzazione della P.A. datrice di lavoro
La Società in questione aveva dedotto di avere fornito la prova di avere agito in buona fede e richiama la dichiarazione resa dal Y di non versare in condizioni di incompatibilità previste per i dipendenti pubblici. Precisa che il Y era titolare di partita IVA per l’attività di infermiere professionale e che il medesimo aveva emesso fatture fiscali per tutta la durata del rapporto di collaborazione.
Il Supremo Collegio ha statuito che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, per integrare l’elemento soggettivo delle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa è sufficiente la semplice colpa, che si presume a carico dell’autore del fatto vietato, gravando su questi l’onere di provare di aver agito senza (Cass.2406/2016, 13610/2007)
E’ stato precisato che per ritenere sussistente la buona fede che esclude la responsabilità dell’autore dell’illecito non è sufficiente che al momento dell’infrazione costui si trovi in uno stato di mera ignoranza circa la concreta sussistenza dei presupposti ai quali l’ordinamento positivo riconduce il suo dovere (punito in caso di inosservanza con la detta sanzione) di tenere una determinata condotta, ma occorre che tale stato di ignoranza sia incolpevole (Cass. 14107/2003) ossia che non sia superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 13011/1997).
Pertanto, se l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa, ne consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore (Cass. 24803/2006) e che l’onere della prova dell’erroneo convincimento grava su chi lo invoca (Cass. 5877/2004), non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio (Cass. 20219/2018, 33032/2018, 15195/ 2008).

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