Corte di Cassazione, sentenza n. 30558 del 22 novembre 2019
La condotta addebitata al dipendente licenziato era “soltanto la conoscenza” del sistema irregolare di aggiudicazione degli incarichi.
La Suprema Corte ha confermato il licenziamento rilevando come la Corte di Appello abbia omesso di verificare se il comportamento del dipendente, il quale, pur senza cooperarvi, abbia conoscenza e assista alla realizzazione di condotte che ledono l’interesse dell’impresa, possa integrare la nozione legale di giusta causa ex art. 2119 cod. civ., avuto riguardo agli obblighi di diligenza e di fedeltà previsti per il lavoratore dagli artt. 2104 e 2105 cod. civ.: obblighi il cui inadempimento deve essere valutato, sotto il profilo della gravità e della idoneità a ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario, alla stregua di un’attenta e approfondita considerazione delle circostanze del caso concreto, ivi comprese direttive o disposizioni del datore di lavoro, o norme interne, volte ad impedire il compimento di tali condotte lesive o la loro reiterazione.
E’, inoltre, del tutto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio, secondo il quale, al fine di stabilire se sussista la giusta causa di licenziamento e se sia stata rispettata la regola (art. 2106 cod. civ.) della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente, risulti idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere l’applicazione di una sanzione non minore di quella massima (cfr. in tal senso, fra le più recenti, Cass. n. 12798/2018).