Corte di Cassazione, ordinanza n. 33674 del 18 dicembre 2019
Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, l’Accordo riguardante le farmacie reca una disciplina convenzionale specifica ed autonoma di tutta la materia relativa al completo ristoro spettante al creditore in caso di ritardato pagamento da parte dell’Azienda Sanitaria dell’obbligazione pecuniaria nascente dall’erogazione dei medicinali agli assistiti dal SSN, prevedendo in particolare che, in caso di ritardato pagamento, al farmacista non spettano interessi moratori superiori al tasso legale.
A tale stregua, il sistema convenzionale attualmente vigente in materia si sottrae invero alla valutazione di grave iniquità dell’Accordo di cui all’art. 7 d.lgs. n. 231 del 2002, non perseguendo la finalità di procurare alla PA debitrice liquidità aggiuntiva, e determinando un riequilibrio della situazione in favore della farmacia creditrice ( v. Tar Lazio, 12/2/2004 ).
L’Accordo nazionale recepito con d.p.r. n. 371 del 1998 esclude pertanto l’applicabilità della disciplina ex d.lgs. n. 231 del 2002 ( di natura meramente dispositiva ) alle prestazioni farmaceutiche. Si è precisato che i suindicati principi valgono anche per le prestazioni farmaceutiche come nella specie effettuate in epoca successiva all’8 agosto 2002, data di entrata in vigore del d. Igs. n. 231/2002, rappresentando esse pur sempre adempimento parziale dell’unico rapporto obbligatorio sorto tra le Aziende sanitarie e le farmacie e regolamentato dall’Accordo nazionale recepito con d.p.r. n. 371 del 1998 ( v. Cass., 12/2/2019, n. 3968 ).
In altra occasione, nella ritenuta estraneità dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl al paradigma della transazione commerciale e riconducibilità viceversa del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, e cioè all’art. 8, comma 2, d.lgs. n. 502 del 1992 e al relativo Regolamento, questa Corte è diversamente pervenuta a negare l’applicabilità del saggio d’interessi previsto dal d.lgs. n. 231 del 2002 ( v. Cass., 8/3/2017, n. 5796 ).
Si è ulteriormente posto in rilievo come emerga «qui la differenza con le fattispecie di Cass. 14 luglio 2016, n. 14349 e di Cass. 11 ottobre 2016, n. 20391, nelle quali è stata ritenuta in astratto applicabile, salvo le circostanze del caso, al rapporto fra la struttura sanitaria accreditata nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il soggetto pubblico la disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002. La fonte del rapporto è in tal caso l’accordo contrattuale, e dunque configurabile è la transazione commerciale». Se ne è quindi tratto, quale corollario, che diversamente dal rapporto sussistente tra il SSN e la struttura sanitaria accreditata, il quale ha fonte in un contratto, il rapporto tra il SSN e la farmacia pubblica o privata non ha invero fonte negoziale, sicché non può trovare applicazione il saggio d’interessi previsto dal d.lgs. n. 231 del 2002.
Si è ulteriormente affermato che il tasso di interesse di cui all’art. 5 d.lgs. n. 231 del 2002 non è applicabile ai crediti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle ASL in quanto l’attività di dispensazione dei farmaci e dei dispositivi medici svolta dal farmacista in esecuzione del rapporto concessorio con l’Azienda Sanitaria Locale, essendo intesa a realizzare -quale segmento del Servizio Sanitario Nazionale- l’interesse pubblico della tutela della salute collettiva, ha natura pubblicistica, non potendo essere pertanto inquadrata nel paradigma della transazione commerciale di cui all’art. 2, comma 1 lett. a), d.lgs. n. 231 del 2002 (v., da ultimo, Cass., 10/4/2019, n. 9991).
Atteso il suindicato contrasto interpretativo venuto a delinearsi in argomento, e trattandosi comunque di questione di massima di particolare importanza, si appalesa la necessità, e comunque l’opportunità, della rimessione della causa al Primo Presidente della Corte, per l’eventuale relativa assegnazione alla Sezioni Unite.