Consiglio di Stato, sentenza n. 229 del 10 gennaio 2020
Si controverte della applicabilità, alla partecipazione al concorso pubblico per l’assegnazione di sedi farmaceutiche, della preclusione sancita dall’art. 12, comma 4, l. n. 475/1968, a mente del quale “il farmacista che abbia ceduto la propria farmacia….non può concorrere all’assegnazione di un’altra farmacia se non sono trascorsi almeno dieci anni dall’atto del trasferimento”..
Si tratta di verificare se l’applicabilità della citata preclusione alla cessione formalmente effettuata da una società di persone – titolare della relativa farmacia – si ponga al di fuori del perimetro descrittivo della norma ovvero possa rappresentarne una specificazione, non espressamente contemplata dal legislatore ma riconducibile al suo contenuto prescrittivo implicito, tanto più se suffragata da argomenti attinti ai canoni della interpretazione cd. funzionale o teleologica.
Il quesito, ad avviso della Sezione, deve ricevere risposta affermativa.
Deve invero osservarsi, sulla falsariga del ragionamento condotto dal giudice di primo grado, che sia argomenti attinenti alla disciplina civilistica delle società di persone, sia considerazioni più strettamente inerenti alla disciplina pubblicistica dell’attività farmaceutica, inducono a ritenere che la formula preclusiva, incentrata sulla figura del “farmacista che abbia ceduto la propria farmacia”, si attagli anche alla fattispecie oggetto di giudizio.
Iniziando dai primi, non vi è dubbio che l’assenza, nelle società di persone, della personalità giuridica, e quindi di una autonomia patrimoniale “perfetta”, non consenta di prefigurare una netta e rigida separazione tra il patrimonio sociale e quello dei singoli soci: ciò che trova limpida manifestazione nella regola (art. 2291, comma 1, c.c.) secondo cui “nella società in nome collettivo tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali” (salvo, per i soci, il beneficium excussionis ex art. 2304 c.c.).
Ne consegue che tutti gli elementi che compongono il patrimonio sociale, ivi compreso il diritto di esercitare la farmacia ed il compendio aziendale all’uopo destinati, non possono non ritenersi “propri” anche dei singoli soci: i quali, non a caso, detengono uti singuli il potere di decidere della alienazione di quel patrimonio, tanto più se incidente su elementi dello stesso strettamente connessi all’oggetto sociale (e quindi alla sopravvivenza della società).
Infine, non può non richiamarsi quanto affermato dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato, con parere n. 69 del 3 gennaio 2018, laddove ha affermato che “alla responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali corrisponde l’attribuzione ex lege (artt. 2257 e 2258 c.c.) del potere di amministrazione, che porta a ritenere ciascun socio compartecipe alla titolarità dell’esercizio farmaceutico”.
Spostando il fuoco dell’analisi sulla disciplina del settore farmaceutico, e chiarito che la soggettività giuridica della società di persone non è idonea ad integrare uno schermo impenetrabile tra la società ed i soci, ai fini della imputazione dei relativi rapporti giuridici, assume rilievo decisivo il disposto di cui all’art. 7, comma 2, secondo periodo l. n. 362/1991, nella formulazione vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 5 d.l. n. 223 del 4 luglio 2006, ai sensi del quale “sono soci della società farmacisti iscritti all’albo della provincia in cui ha sede la società, in possesso del requisito dell’idoneità previsto dall’articolo 12 della legge 2 aprile 1968, n. 475 e successive modificazioni”.