Un trattamento economico migliorativo in contrasto con la legge, non attribuisce al restante personale il diritto al medesimo trattamento economico

Corte di Cassazione, sentenza n. 2718 del 5 febbraio 2020

E’ un principio di diritto, da tempo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «in tema di pubblico impiego privatizzato, il principio di pari trattamento di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001 vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, dato che il legislatore ha lasciato piena autonomia alle parti sociali di prevedere trattamenti differenziati in funzione dei diversi percorsi formativi, delle specifiche esperienze maturate e delle diverse carriere professionali» (Cass. n. 6553/2019 e negli stessi termini, fra le tante, Cass. n. 19043/2017, Cass. 1037/2014. Cass. 10105/2013, Cass. n. 4971/2012).
Né giova sostenere che le parti collettive, nell’escludere il riassorbimento dell’assegno ad personam riconosciuto al personale trasferito nei ruoli degli enti locali dallo Stato e dalle altre amministrazioni centrali, avrebbero violato la regola generale sancita dall’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, che costituisce un limite all’autonomia contrattuale; infatti dall’eventuale nullità della disposizione dettata dall’art. 28 del CCNL 5.10.2001 non potrebbe mai derivare l’effetto preteso, ossia il riconoscimento anche al restante personale del beneficio asseritamente in contrasto con la norma di legge, perché nei casi in cui il datore di lavoro pubblico attribuisca al dipendente un trattamento economico in violazione di norma imperativa, quale è quella invocata dai ricorrenti, è da escludere alla radice la possibilità che altri dipendenti possano rivendicare il medesimo trattamento, perché l’atto nullo obbliga l’amministrazione al recupero di quanto illegittimamente erogato e, a maggior ragione, non può far sorgere un diritto soggettivo in capo ad altri soggetti che dello stesso atto non siano destinatari ( in tal senso Cass. n. 16755/2019).
E’ stato già affermato ( Cass. n. 32157/2018), ed al principio il Collegio intende dare continuità, che la parità di trattamento di cui all’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 non va confusa con il riallineamento stipendiale, espunto dalla disciplina dell’impiego pubblico con l’art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333 del 1992, norma, questa, collegata al disegno generale di riforma del pubblico impiego, che ha condotto all’adozione della legge di delegazione 23 ottobre 1992, n. 421 e del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, dove, tra l’altro, è stata disposta l’abrogazione di tutte le disposizioni che prevedono “automatismi” 

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