Corte di Cassazione, sentenza n. 32258 del 10 dicembre 2019
La Suprema Corte da tempo ha già affermato che l’intervento del Comitato dei Garanti, previsto dall’art. 22 del d.lgs. n. 165/2001, applicabile anche alle amministrazioni non statali in forza della norma di adeguamento di cui all’art. 27 dello stesso decreto, riguarda le ipotesi di responsabilità dirigenziale disciplinate dall’art. 21 e pertanto condiziona la validità del recesso nei soli casi in cui si contesti al dirigente il mancato raggiungimento degli obiettivi o l’inosservanza delle direttive ( Cass. nn. 8329 e 14628 del 2010, Cass. n. 27128/2013, Cass. nn. 1478 e 24801 del 2015, Cass. n. 12108/2016). Si è precisato anche che il principio non è mai stato derogabile da parte dei contratti collettivi.
Se ne è tratta la conseguenza che le disposizioni dettate dal CCNL 8 giugno 2000 per la dirigenza del servizio sanitario nazionale dovessero essere interpretate alla luce del dettato normativo e, quindi, restringendo l’applicazione dell’art. 23, che prevede l’intervento del Comitato, alle sole ipotesi di responsabilità dirigenziale o a quelle di «indissolubile intreccio fra tale tipo di responsabilità e quella, tipicamente disciplinare, per mancanze».
Quanto al criterio discretivo fra le due diverse forme di responsabilità si è evidenziato (Cass. nn. 1753, 14773, 24905 del 2017, Cass. n. 11161/2018) che, mentre la responsabilità disciplinare presuppone il colpevole inadempimento di obblighi che gravano sul prestatore, rilevante in sé a prescindere dall’incidenza sui risultati dell’attività amministrativa e della gestione, la responsabilità dirigenziale è sempre strettamente correlata al raggiungimento degli obiettivi e persegue la finalità di consentire la rimozione tempestiva del dirigente rivelatosi inidoneo alla funzione, in modo da garantire l’attuazione del principio di efficienza e di buon andamento degli uffici pubblici.