Tar Lazio, sentenza n. 2619 del 28 febbraio 2020
Con la sentenza in commento, il Tar Lazio ha ribadito il proprio orientamento in tema di elementi distintivi della vendita di prodotti alimentari con possibilità di un loro “consumo sul posto” rispetto alla ristorazione, evidenziando come la nozione di “servizio al tavolo”, che connota quest’ultima e che deve essere escluso nel primo caso, non possa ricondursi alla semplice attività dei camerieri e postuli, invece, una dimensione “funzionale”, da accertarsi caso per caso, così da verificare che il “consumo sul posto” rimanga accessorio e non prevalente rispetto alla vendita per asporto.
La sentenza evidenzia come la distinzione abbia rilevanti ricadute in termini di parità di trattamento e tutela della concorrenza in quanto le ristorazioni sono soggette a penetranti limiti (puntualmente analizzati nella motivazione) e, nel territorio della Città Storica di Roma Capitale, ad un altrettanto severo contingentamento; mentre, poiché ad essi non sono soggette le aziende di vendita di prodotti alimentari, nell’ambito del relativo mercato l’attivazione del consumo sul posto (che dovrebbe costituire solo una modalità di una fruizione aggiuntiva e sussidiaria rispetto alla vendita per asporto), si è di fatto ampliata fino a costituire il rischio di evidenti elusioni dei vincoli rigorosi imposti alle attività di ristorazione.
La sentenza riporta anche come la casistica avesse consentito di enucleare una molteplicità di indicatori da osservarsi nell’indagine funzionale sull’organizzazione dell’azienda erogatrice (quali la tipologia degli arredi, l’offerta degli alimenti a porzione con menu di tipo ristorativo, la presenza di mescita di bevande alcoliche e così via), che il Regolamento locale di Roma Capitale (art. 5 della D.A.C. n. 47 del 2018) aveva recepito ed approfondito.
Il Consiglio di Stato, con le sentenze variamente richiamate dalla decisione in commento ed in particolare la decisione n. 2280 del 2019, ha invece ritenuto che il “servizio al tavolo” non possa che identificarsi con la presenza di camerieri, così da considerare irrilevanti le ulteriori e differenti modalità di erogazione del servizio che si sono dapprima indicate e, sulla base di tale presupposto, ha annullato l’art. 5 del Regolamento n. 47 del 2018 (sentenze nn. 139 e 141 dell’8 gennaio 2020).
Tuttavia, lo stesso giudice di appello, con sentenza n. 8923 del 31 dicembre 2019 (passata in decisione successivamente alle sentenze dapprima indicate, ancorchè pubblicata prima) è poi pervenuto ad una conclusione del tutto opposta, confermativa dell’orientamento del TAR e della necessità di una indagine funzionale.
Il Tar, con la sentenza in esame, ha quindi rilevato che l’intervenuto annullamento dell’art. 5 del Regolamento n. 47 del 2018 non ha comportato il venir meno della necessità di identificare, caso per caso, i tratti distintivi dell’istituto, in diretta applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. f bis), d.l. n. 223 del 2006, non più mediata dalla fattispecie regolamentare; ed ha confermato il proprio orientamento, non senza criticamente evidenziare i limiti del percorso argomentativo delle contrarie decisioni del Consiglio di Stato e sollecitare la remissione della questione controversa all’Adunanza Plenaria.
A tali fini, il giudice di primo grado si è soffermato su alcuni elementi ulteriori, precisando i limiti dell’istituto in relazione alle facoltà di vendita degli artigiani alimentari ed alle relative condizioni, individuando i criteri distintivi della nozione di “gastronomia”, precisando condizioni e termini della sua vendita o somministrazione a seconda delle modalità di preparazione (se fredda o calda ed in dipendenza delle modalità di cucina) ed approfondendo la distinzione sotto il profilo dei “tipi negoziali” tra la vendita e la ristorazione (nelle quali prevalgono, rispettivamente, la compravendita ed il servizio).