TAR Lombardia, sentenza n. 547 del 24 marzo 2020
Il Tribunale è consapevole del precedente giurisprudenziale integrato da Cass. 2009 n. 16052, ove si sostiene la natura costitutiva del decreto prefettizio, ma non condivide tale opzione ermeneutica.
Invero:
– l’art. 11, comma 1, del d.l.vo n. 235 del 2012 prevede la sospensione “di diritto” di coloro che abbiano riportato in primo grado una condanna per il delitto di cui all’art. 314 cp;
– la previsione per cui la sospensione opera di diritto indica che la condanna inibisce di per sé lo svolgimento delle funzioni pubbliche, pur se essa non è dichiarata in sede giudiziaria o in sede amministrativa, atteso che si tratta di un effetto legale tipico della sentenza penale di condanna, che di per sé produce l’effetto di precludere lo svolgimento delle funzioni pubbliche;
– sempre l’art. 11 dispone, al comma 5, che “a cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione sono comunicati al prefetto, il quale, accertata la sussistenza di una causa di sospensione, provvede a notificare il relativo provvedimento agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina”;
– la norma non dispone che l’atto di “accertamento” vada notificato a chi versi nella situazione di “sospensione di diritto”, proprio perché la sospensione, intervenendo “di diritto”, produce di per sé effetto nel momento della proclamazione degli eletti e inibisce immediatamente l’esercizio delle pubbliche funzioni a chi sia incorso in una condanna ostativa, come nel caso in esame;
– l’inibizione all’esercizio delle pubbliche funzioni non discende dall’atto del Prefetto, che accerta la sussistenza della causa di sospensione al solo fine di renderlo noto “agli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina”, tanto che l’atto non deve essere notificato all’interessato;
– l’inibizione deriva ex lege dalla condanna di primo grado, quale effetto legale di essa;
– diversamente opinando, occorrerebbe ammettere che, prima dell’emanazione dell’atto del Prefetto, il candidato eletto potrebbe porre in essere atti nella qualità conseguente alla sua proclamazione, con palese elusione delle disposizioni dell’art. 11 del d.l.vo n. 235 del 2012, che sarebbero di fatto svuotate di ogni effettività;
– la ratio della norma è quella di impedire che il soggetto eletto, ma gravato da una condanna per determinate tipologie di reato, non possa compiere atti connessi alla carica elettiva ricoperta, ma tale finalità sarebbe irrimediabilmente frustrata se si subordinasse l’effetto preclusivo ad un atto del Prefetto, che potrebbe intervenire dopo lungo lasso di tempo;
– del resto, è pacifico che la sospensione non è legata ad alcuna forma di discrezionalità, neppure da parte del giudice, tanto che opera anche se quest’ultimo ha omesso di dichiararla, sicché è priva di ragionevolezza l’opzione prospettata dal Comune laddove sostiene che la sua applicazione in sede amministrativa dipende da un successivo atto del Prefetto;
– l’atto del Prefetto ha natura dichiarativa e non costitutiva, assumendo la sola funzione di portare la sentenza di condanna a conoscenza degli organi che hanno convalidato l’elezione o deliberato la nomina, fermo restando l’effetto preclusivo ex lege già maturato, perché derivante di per sé dalla condanna (in argomento T.A.R. Calabria, sez. I, 05 ottobre 2017, n. 862).