Corte dei Conti, Seconda Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 148 dell’11 giugno 2020
Era risultato che personale dipendente del Comune aveva partecipato ad un gruppo di lavoro, deputato alla valutazione della convenienza economica di un’operazione di ristrutturazione del debito dell’ente medesimo. Era stato anche adottato il regolamento comunale per la ripartizione degli incentivi per la progettazione di interventi di finanza innovativa, e individuato il personale che avrebbe dovuto far parte del citato gruppo di lavoro, di ben ventotto componenti, a cui erano stati liquidati gli incentivi
Nei fatti descritti, sono stati ravvisati i delitti di abuso in atti di ufficio, falso e peculato, anche se poi, con sentenza n. 1322/2015, la Corte d’appello penale ha ritenuto assorbito il reato di abuso in quello di peculato, nonché prescritto quello di falso.
In tal senso, lapidarie affermazioni si rinvengono nella sentenza penale di primo grado che considera il regolamento illegittimo “perché non era possibile prevedere emolumenti diversi da, quelli previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; di ciò il X ed il N. erano perfettamente consapevoli; ma l’approvazione del regolamento era l’artificio necessario ad ammantare di legalità l’appropriazione del danaro del Comune, di cui il N. aveva la disponibilità giuridica in quanto dirigente preposto al Servizio Economico Finanziario (SEF), e che avrebbe commesso emettendo i mandati di pagamento nei confronti del Tesoriere (e cioè, ex art. 208 TUEL, la banca che materialmente è depositaria del danaro del comune).
Per il danno economico derivante dalla vicenda – connotata da violazione del principio di onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti – la Sezione territoriale aveva già pronunciato sentenza di condanna n. 600/2011 nei confronti di N.G., per complessivi euro 352.263,61.
Dopo la sentenza penale, la Sezione territoriale della Corte dei Conti ha ulteriormente posto a carico del dirigente l’importo di euro 50.000,00, a titolo di danno all’immagine.
La pronuncia è stata confermata in appello.
E i revisori dei conti?