Corte dei Conti, Prima Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 189 del 13 luglio 2020
La Procura presso la Corte dei Conti aveva impugnato la decisione con la quale la Sezione territoriale, riguardante l’esercizio, da parte di attività lavorativa extra-istituzionale non autorizzata previamente (un infermiere in servizio presso l’ASL), ha statuito, per il periodo successivo, l’inammissibilità della domanda risarcitoria, in ragione della carenza di interesse ad agire, stante la sussistenza di un procedimento amministrativo di recupero, nei limiti del quinto dello stipendio mensile, delle somme percepite, a titolo di emolumenti (per € 187.492,00 complessivi).
Di norma di fronte ad un titolo amministrativo definitivo, in quanto non impugnato nelle competenti sedi – ad esempio, il ruolo esattoriale, non opposto giudizialmente nei termini di legge innanzi al giudice – per un importo pari allo stesso danno contestato, non si vede quale ulteriore utilità pratica potrebbe acquisire l’amministrazione danneggiata dal “raddoppio” del suddetto titolo con altro di natura giudiziale, attraverso l’azione esercitata dal suo (in senso atecnico, s’intende) “sostituto processuale”, essendo la sentenza di condanna pronunciata dalla Corte dei conti in materia di responsabilità, sottoposta al medesimo regime di attuazione coattiva – ossia, iscrizione a ruolo, esecuzione forzata ordinaria, ecc (cfr. artt. 213 e ss., c.g.c.) – e prescrizionale.
Vi sarebbe, quindi, un inutile e ingiustificato “spreco” di risorse organizzative per l’espletamento di un’attività giurisdizionale del tutto superflua.
D’altronde, anche le formule tralatizie con cui la Suprema Corte suole affermare che un problema di interferenza tra giurisdizioni (penale, civile e contabile), si pone solo in termini di eventuale difetto di proponibilità della domanda risarcitoria successivamente avanzata (ex plurimis et amplius, Cass, SS.UU., n. 35205/2017), fanno riferimento all’acquisizione di un diverso titolo (e non all’effettiva esazione del danno) e non si vede perchè tale sillogismo debba essere limitato solamente a quelli di natura giudiziale e non anche amministrativa.
Ciò premesso, va, però, anche detto che le superiori premesse non si attagliano al caso che ne occupa, come correttamente osservato dalla Procura appellante, per la semplice ragione che l’attività amministrativa recuperatoria in corso (i.e.: le trattenute mensili sullo stipendio, nel limite del quinto), non ha carattere di definitività, potendo sempre essere sottoposta a sindacato giudiziale (impugnandosi l’atto di recupero innanzi al giudice del lavoro), in quanto atto (c.d. “paritetico”) adottato dal datore di lavoro pubblico e non già atto autoritativo con impugnativa (giurisdizionale) sottoposta a termine decadenziale.
Ad un tempo, le modalità recuperatorie in corso non sono neanche quelle, dapprima richiamate, che possono originarsi da un titolo esecutivo giudiziale, di guisa che – in ragione della non esiguità del danno erariale e della frammentazione del recupero (pochi centinaia di euro mensili) – appare evidente il rischio di non ottenere completo e tempestivo soddisfacimento del credito (risarcitorio) vantato dall’amministrazione danneggiata, con contestuale permanere dell’interesse della Procura a precostituirsi siffatto titolo.