Le mansioni superiori nel pubblico impiego prescindono dalla legittimità del provvedimento

Corte di Cassazione, sentenza n 14808 del 10 luglio 2020

I consolidati indirizzi interpretativi di questa Corte, sono:

a) “in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.” (vedi, per tutte: Cass. 18 giugno 2010, n. 14775; Cass. 7 agosto 2013, n. 18808; Cass.24 gennaio 2019, n. n. 2102);

b) “il diritto a percepire la retribuzione commisurata allo svolgimento, di fatto, di mansioni proprie di una qualifica superiore a quella di inquadramento formale, ex art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla legittimità, né all’esistenza di un provvedimento del superiore gerarchico, e trova un unico limite nei casi in cui l’espletamento sia avvenuto all’insaputa o contro la volontà dell’ente, oppure quando sia il frutto di una fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente, o in ogni ipotesi in cui si riscontri una situazione di illiceità per contrasto con norme fondamentali o generali o con principi basilari pubblicistici dell’ordinamento” (Cass. 29 novembre 2016, n. 24266).

Il Collegio condivide tale orientamento e le motivazioni delle anzidette decisioni, rinviando, in particolare, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ. alle motivazioni delle richiamate Cass. n. 2102 del 2019 e di Cass. n. 24266 del 2016.

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