Consiglio di Stato, sentenza n. 5097 del 19 agosto 2020
É rilevante e non manifestamente infondata la questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lett. iii), l. 28 gennaio 2016, n. 11, e dell’art. 177, comma 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nella parte in cui stabiliscono l’obbligo per i soggetti pubblici e privati, titolari di concessioni di lavori, di servizi pubblici o di forniture, non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure ad evidenza pubblica, di affidare una quota pari all’ottanta per cento dei contratti mediante procedura ad evidenza pubblica, prevendo che la restante parte possa essere realizzata da società in house di cui all’art. 5 per i soggetti pubblici, ovvero da società direttamente o indirettamente controllate o collegate per i soggetti privati, ovvero tramite operatori individuati mediante procedure ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.
Ha chiarito la Sezione che l’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni di legge censurate, ancorché finalizzato a sanare l’originaria violazione dei principi comunitari di libera concorrenza consumatasi in occasione dell’affidamento senza gara della concessione, si traduce per un verso in un impedimento assoluto e definitivo di proseguire l’attività economica privata, comunque intrapresa ed esercitata in base ad un titolo amministrativo legittimo sul piano interno, secondo le disposizioni di legge all’epoca vigenti; e per altro verso va a snaturare il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa degli enti concedenti, rispetto alla sua funzione di soggetto proposto dall’amministrazione all’esercizio di attività di interesse pubblico.
Nel perseguimento di legittimi obiettivi riconducibili ad imperativi di matrice euro-unitaria il legislatore sembra così avere totalmente pretermesso le contrapposte esigenze di tutela della libertà di impresa ai sensi del sopra citato art. 41 della Costituzione