Danno all’immagine della PA per assenteismo: riassunto della Corte dei Conti

Corte dei Conti sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, sentenza n 267 del 04 settembre 2020


Come noto, il risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, ovvero, più precisamente, “del danno derivante dalla lesione del diritto all’immagine della p.a. nel pregiudizio recato alla rappresentazione che essa ha di sé in conformità al modello delineato dall’art. 97 Cost”, (Corte Cost. 355/2010), ha origine pretoria, essendo, tale lesione inizialmente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte dei conti.

In siffatto contesto è intervenuto il legislatore, con l’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 , che ha stabilito come «Le procure della Corte dei conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97».

Accanto ai suddetti rigorosi limiti imposti per la punibilità del danno arrecato all’immagine dell’amministrazione pubblica, il legislatore ha affiancato un’ulteriore ipotesi di lesione alla immagine della cosa pubblica del tutto eccezionale, le cui caratteristiche sono qui di seguito riportate. Con riferimento alle false attestazioni, il legislatore delegato ha, poi, introdotto, l’articolo 55 quinquies, con il quale è stata introdotta una autonoma fattispecie di reato per punire tutte quelle condotte fraudolentemente orientate alla alterazione delle certificazioni e/o attestazioni della presenza in servizio. Nel medesimo articolo, al secondo comma, accanto alla responsabilità penale e disciplinare derivante dalle condotte suddette, è stato previsto l’obbligo di risarcire il danno patrimoniale subito dall’amministrazione, pari alle ore falsamente attestate e non lavorate nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione.

Con riferimento a detta particolare innovazione normativa, la giurisprudenza coeva (v. per tutti Corte conti Sicilia 29/2016) aveva stabilito che “Secondo tale disposto normativo, nei casi in cui un lavoratore dipendente attesti “falsamente la propria presenza in servizio mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente (…) è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali è accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subiti dall’amministrazione”. Trattasi di una ipotesi di responsabilità tipizzata dolosa che nello stesso tempo si presenta ricognitiva dei principi generali sulla responsabilità amministrativa di cui alle leggi n. 19/1994 e n. 20/1994 quanto al danno patrimoniale, nonché per certi aspetti innovativa, come meglio in prosieguo si argomenterà, quanto al danno all’immagine. (…) 5.2. Per il danno all’immagine l’art. 55-quinques del decreto legislativo n. 30 marzo 2001, n. 165, introdotta dall’art. 69, comma 1, del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, presenta un evidente carattere di specialità rispetto all’art. 1 del decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito nella legge 3 ottobre 2009, n. 141, di modifica dell’art. 17 comma 30 ter del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito con modifiche nella legge 3 agosto 2009, n. 102. Il legislatore nell’introdurre tale nuova ipotesi di danno all’immagine non ha operato sulla preesistente normativa, ampliando il novero delle fattispecie punibili (reati di cui al capo I, titolo II, del libro II del codice penale), ma ha inteso, per rendere maggiormente sanzionabili le condotte fraudolente dei dipendenti, svincolarsi dalle anguste maglie che legano la sussistenza del danno all’immagine solo all’ipotesi di ricorrenza di una sentenza penale passata in giudicato. Del resto, un’opzione ermeneutica differente colliderebbe contro il chiaro dato testuale normativo che, alla ricorrenza della condotta fraudolenta, fa sorgere l’obbligo del risarcimento sia del danno patrimoniale che all’immagine, ponendo entrambe le fattispecie sullo stesso piano; non avrebbe, pertanto, alcun senso trattare in modo differenziato le conseguenze di una condotta unitaria, svincolando il danno patrimoniale dalla sussistenza della sentenza penale irrevocabile di condanna rispetto a quello all’immagine; allo stesso modo non appare plausibile esigere per entrambi la sussistenza di una condanna penale giacché per quello patrimoniale la risarcibilità rientra nell’ambito dei principi generali della responsabilità amministrativa. In conclusione, la tecnica di redazione fa propendere per un rapporto tra le due differenti normative di genus a species, come già riconosciuto nella sentenza n. 476 dell’11.09.2015 della Prima Sezione Centrale di Appello; in tale senso sembra anche propendere la precedente statuizione n. 8 del 19.03.2015 delle Sezioni Unite di questa Corte ove in un obiter dictum si legge: “ora, in disparte tale ricca, seppure non omogenea, giurisprudenza contabile, sulla quale non è qui il caso di indulgere, si deve constatare che il legislatore ha sì previsto alcune speciali ipotesi di danno all’immagine per la Pubblica Amministrazione (art. 55 quinquies, comma 2 del d.lgs n. 165/2001, così come integrato dall’art. 59, comma 1, del d.lgs. n. 150/2009; art. 46 del d.lgs. n. 33/2013), ma la disciplina organica avente ad oggetto la configurabilità di un danno all’immagine per la Pubblica Amministrazione specificamente collegato a fattispecie criminose è stata introdotta con l’art. 17, comma ter., D.L. n. 78/2009 più volte citato e testé in discussione”. (per la non irrevocabilità della sentenza penale ai fini della condanna al danno all’immagine ex art. 55 quinquies D.Lgs. 165/2001, v. anche Corte conti Lazio 998/2011).

La norma di che trattasi ha subito ulteriori integrazioni ad opera del legislatore delegato.

In attuazione di delega l’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016 ha inserito il comma 3-quater all’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, il quale prevede che, nel caso in cui la falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente (comma 1, lettera a), sia accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze (comma 3-bis), la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente Procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’art. 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.

Da ultimo, l’art. 16, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 25 maggio 2017 n. 75 ha modificato il comma 2 dell’art. 55 quinquies del medesimo D.Lgs. 165/2001, nel senso di sostituire la locuzione “nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione”, con la locuzione “nonché il danno all’immagine di cui all’articolo 55 quater, comma 3 quater”.

Con la sentenza n. 61 del 10 aprile 2020, pertanto, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi il secondo, terzo e quarto periodo del comma 3-quater dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 116 del 2016.

In tema di danno all’immagine derivante da false attestazioni e/o certificazioni della presenza dei pubblici dipendenti sui luoghi di lavoro, pertanto, non è stata operata una abrogazione radicale della fattispecie, ma sono stati, unicamente, riportati i confini della stessa a quelli prospettati dal legislatore delegato del 2009 e precisati dalla giurisprudenza coeva alla entrata in vigore della normativa di che trattasi e, precisamente, ipotesi di danno all’immagine nuova, non riconducibile ad un danno commesso nei confronti della pubblica amministrazione, di cui al libro secondo, capo primo del codice penale e non cristallizzata in una sentenza penale irrevocabile di condanna. In tal senso si è espressa di recente anche la giurisprudenza di appello di questa Corte (II Appello sentenze 140 e 146 del 2020) che ha ritenuto, dopo l’intervento della Corte Costituzionale, non già radicalmente abrogata l’ipotesi di danno all’immagine nei confronti della pubblica amministrazione, derivante da false attestazioni della presenza in servizio, ma sopravvissuta alla dichiarazione di incostituzionalità, la previsione di cui all’art. 55 quinquies del D.Lgs. 165/2001, secondo le indicazioni offerte dal legislatore delegato del 2009 che aveva previsto, accanto alla risarcibilità del danno patrimoniale subito dall’amministrazione per le ipotesi di falsa attestazione in servizio del pubblico dipendente, la risarcibilità del danno all’immagine subito dalla pubblica amministrazione. Questa, pertanto, è la previsione normativa applicabile alla fattispecie di che trattasi. Nel caso in esame, quindi, accertata la sussistenza di episodi di falsa attestazione in servizio di cui all’art. 55 quinquies e rilevata la mancanza di necessità di una sentenza irrevocabile di condanna, occorre unicamente procedere alla quantificazione del danno all’immagine contestato, secondo i noti parametri oggettivi, soggettivi e sociali, indicati dalla giurisprudenza (10/QM/2003).

Indubbia appare, secondo la prospettazione attorea, l’eco avuta dalla condotta tenuta dalla convenuta quantomeno tra i colleghi e/o gli abitanti delle zone interessate, essendo stata proprio una apposita segnalazione, a far emergere la vicenda illecita riguardante la X, dal momento che era stata riferita, ai competenti vertici amministrativi, l’abitudine di alcuni dipendenti di dedicarsi ad attività di interesse privato durante l’orario di ufficio, con ciò coinvolgendo inevitabilmente uffici ed esercizi commerciali di diverso genere. A ciò aggiungasi l’avvenuto giudizio penale che avrà, indubbiamente, consentito il maggiore diffondersi della notizia.

La signora X, pertanto, deve essere condannata al pagamento della somma di euro 2000,00 (duemila/00) a titolo di danno all’immagine, cui deve aggiungersi la somma di euro 55,19 oltre a euro 66,47, pari ad un totale di euro 121,66 (centoventuno/66) a titolo di danno patrimoniale, per un totale di euro 2.121,66.

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