In ambito civile, è l’ospedale che deve provare l’assoluta correttezza del proprio operato

Corte di Cassazione, sentenza n 17696 del 25 agosto 2020

La congiunta, sottoposta ad intervento chirurgico in data 19 maggio 2009 presso l’Azienda convenuta, era stata dimessa il successivo 25 maggio per esservi nuovamente ricoverata il successivo 8 giugno. Protrattasi la degenza, la paziente aveva subito un secondo intervento il 27 luglio per revisione del focolaio di frattura; ciò nonostante, peggiorate rapidamente le sue condizioni, la donna era venuta a mancare il 28 luglio 2009.

Consegue dal complesso di tali argomenti che, non essendo stata, a quanto risulta, neppure prospettata la possibilità che l’infezione da stafilococco aureo abbia avuto una genesi diversa da quella nosocomiale, deve darsi per accertato, anche se in via presuntiva, che i danneggiati abbiano dimostrato che il contagio sia avvenuto in ospedale, con ogni probabilità in occasione dell’intervento chirurgico del 19 maggio 2009; né la sentenza impugnata sostiene alcunché di diverso su questo punto. Se così è, non assume rilevanza decisiva il problema della correttezza o meno della profilassi antibiotica in relazione al momento dell’intervento (primo motivo); resta comunque il dato pacifico che pochi giorni dopo l’intervento l’infezione si manifestò, con tutto quello che ne conseguì. Il che porta a ritenere, almeno a livello indiziario, che qualcosa non era andato a dovere in sala operatoria; e la stessa sentenza in esame riferisce, pur non collegando a tale constatazione alcuna conseguenza, che vi erano state negligenze nella tenuta della cartella clinica, per cui non sembra che l’Azienda ospedaliera abbia dimostrato (come sarebbe stato suo dovere) la regolarità dell’operato dei suoi dipendenti anche in relazione alla sterilizzazione dell’ambiente operatorio. Alla luce della giurisprudenza suindicata, infatti, una volta dimostrata, da parte del danneggiato, la sussistenza del nesso di causalità tra l’insorgere (in questo caso) della malattia ed il ricovero, era onere della struttura sanitaria provare l’inesistenza di quel nesso (ad esempio, dimostrando l’assoluta correttezza dell’attività di sterilizzazione) ovvero l’esistenza di un fattore esterno che rendeva impossibile quell’adempimento ai sensi dell’art. 1218 del codice civile.

E l’onere della prova di avere approntato in concreto tutto quanto necessario per la perfetta igiene della sala operatoria è, ovviamente, a carico della struttura

One thought on “In ambito civile, è l’ospedale che deve provare l’assoluta correttezza del proprio operato

  1. Data l’eziopatogenesi multifattoriale, l’onere e’ semplicemente impossibile da soddisfare e poi vanno considerate le “infezioni ragionevolmente evitabili” (reasonably presentabile), filone di letteratura USA che qualcuno dovrebbe leggere. Visto che adottando le migliori metodologie preventive nei migliori ospedali, rimane comunque uno zoccolo duro, diciamo un 40% di infezioni incomprimibile, (irreducible minimum) non vedo perché porle a carico delle aulss, quindi dei contribuenti.