Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 27770 del 4 dicembre 2020
Tesi fondamentale della censura in esame è che il Consiglio di Stato avrebbe «creato ad hoc una norma del tutto inesistente», indebitamente parificando l’omissione di un obbligo dichiarativo con una dichiarazione mendace. L’art. 38, comma 1-ter, cit. prevede espressamente la presentazione di falsa dichiarazione o di falsa documentazione nelle procedure di gara, e l’art. 8, comma 2, lettera s), del d.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, prevede l’annotazione sul casellario informatico nel solo caso di falsità nelle dichiarazioni rese.
La Suprema Corte, confermando la decisione del Consiglio di Stato, ha affermato che la sentenza impugnata non si è limitata ad affermare che l’omessa dichiarazione sia equiparabile alla falsa dichiarazione, ma ha svolto una complessa attività di interpretazione della norma in questione, ricordando che «completezza e veridicità della dichiarazione sostitutiva di notorietà sui requisiti per la partecipazione all’evidenza pubblica sono posti a tutela dell’interesse pubblico alla trasparenza e, al tempo stesso, alla semplificazione della procedura di gara». Di conseguenza, ha aggiunto il Consiglio di Stato, «in materia di partecipazione alle gare pubbliche d’appalto, una tale consapevole “omissione” non può essere distinta, quanto agli effetti distorsivi nei confronti della stazione appaltante che la disposizione in esame mira a prevenire e reprimere, dalla tradizionale forma di mendacio commissivo». Ciò in quanto «nelle procedure di evidenza pubblica l’incompletezza delle dichiarazioni lede di per sé il principio di buon andamento dell’amministrazione