ANAC, deliberazione n. 1090 del 16 dicembre 2020
Nella fattispecie esaminata il dott. omissis passerebbe da un incarico presso l’amministrazione controllante ad un incarico presso l’ente di diritto privato da questa direttamente e totalmente controllata. Con riferimento a questa fattispecie, l’Autorità si è già pronunciata in passato, ritenendo che «in simili circostanze non possono configurarsi gli elementi costitutivi della fattispecie dell’art. 53, comma 16 ter, del d.lgs. n.165/2001, in quanto l’attribuzione dell’incarico di destinazione nell’ambito di una società controllata avviene nell’interesse della stessa amministrazione controllante e ciò determina la carenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie preclusiva sopra descritta, ovvero il dualismo di interessi pubblici/privati ed il conseguente rischio di strumentalizzazione dei pubblici poteri rispetto a finalità privatistiche» (delibera Anac n. 766 del 5 settembre 2018).
Ma si vedano anche le pronunce analoghe nel caso di un incarico apicale nell’ambito di una società totalmente controllata dalla Regione omissis attribuito ad un dirigente generale in servizio presso l’amministrazione regionale stessa e nel caso di un incarico dirigenziale presso omissis, società totalmente detenuta dal Ministero omissis, da conferire ad un dirigente apicale del Ministero stesso. Nel caso del passaggio tra amministrazione controllante ed ente di diritto privato controllato verrebbe quindi a mancare il rischio che il dipendente pubblico, durante lo svolgimento dell’incarico presso la prima, venga distolto dal perseguimento dell’interesse pubblico in vista del futuro incarico presso la seconda, non potendo identificare un interesse di natura privatistica contrapposto a detto interesse pubblico proprio in considerazione del rapporto di controllo tra gli enti che conferiscono gli incarichi in questione.
Il peculiare rapporto che caratterizza le società in house rispetto all’amministrazione che le controlla è stato oggetto di specifica analisi del Consiglio di Stato in occasione del parere rilasciato n. 968 del 21.4.2016 sullo schema di decreto legislativo di decreto legislativo recante Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
Ad ogni buon conto, conclude il Consiglio di Stato nel citato parere, “qualunque sia la prospettazione che si intenda seguire, la società in house conserva, come si dirà oltre, una forte peculiarietà organizzativa, imposta dal diritto europeo, che la rende non riconducibile al modello generale di società quale definito dalle norme di diritto privato”. Ai fini della valutazione dell’applicabilità dell’art. 53, comma 16-ter, d.lgs. 165/2001, la questione dell’autonomia soggettiva che si voglia o meno riconoscere alle società in house è tuttavia secondaria a quella dell’identificazione dell’interesse perseguito dalle stesse, che non può essere considerato distinto ed autonomo rispetto a quello perseguito dall’amministrazione controllante che ne detiene il capitale, che ha poteri di nomina della governance e che ha significativi poteri di direzione e controllo dell’attività svolta. Pertanto, rammentando la ratio sottesa al divieto imposto dalla suddetta disposizione, nella fattispecie in oggetto, a fronte dell’insussistenza della contrapposizione interesse pubblico/privato nell’attività degli enti interessati e, quindi, del rischio che il primo possa essere strumentalizzato per finalità di natura privata, viene meno uno degli elementi costitutivi della fattispecie vietata, come già concluso dall’Autorità in fattispecie analoghe.