Richieste “cortesi” per rinunciare ad azioni legali? Può essere estorsione

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza n. 8262/2021, depositata il 2 marzo


L’ipotesi che non sarebbero state compiutamente definite le ipotizzate pressioni in danno della parte offesa della tentata estorsione prescinde del tutto dal consolidato orientamento di questa Corte, da tempo ferma nel ritenere che integra la c.d. “estorsione ambientale” quella particolare forma di estorsione che viene perpetrata da soggetti notoriamente inseriti in pericolosi gruppi criminali che hanno il controllo di un determinato territorio e che è immediatamente percepita dagli abitanti di quella zona come concreta e di certa attuazione, quand’anche attuata con linguaggio e gesti criptici, a condizione che questi siano idonei ad incutere timore e a coartare la volontà della vittima (Sez. 2, sentenza n. 19724 del 20/05/2010, Rv. 247117; Sez. 2, sentenza n. 793 del 24/11/2020, dep. 2021, in motivazione).
In applicazione del principio, deve ritenersi che anche richieste avanzate da un intermediario in termini di apparente cortesia, ma accompagnate da allusioni pur generiche, ma comunque idonee, in un determinato contesto ambientale, ad ingenerare nella vittima il timore di rischi e pericoli inevitabili, in caso di mancata ottemperanza all’invito ricevuto, possono integrare il reato in oggetto. Né può dubitarsi, per altro verso, che integri il delitto di estorsione, a seconda dei casi consumata o tentata, la condotta consistente nella formulazione di minacce larvate od implicite volte a far sì che la persona offesa rinunci ad intraprendere azioni legali, oppure a coltivare azioni legali già intentate dal proprio dante causa.

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