Corte di Cassazione, sez 3 Penale, sentenza n. 10773 del 19 marzo 2021
Una struttura sanitaria aveva ricevuto accreditamento definitivo dalla Regione quale centro di riabilitazione estensiva per 30 posti letto a ciclo continuativo, e successivamente veniva chiesto il trasferimento in altro stabile di 26 dei 30 posti già autorizzati, chiedendo però pure la conferma di 4 posti nella struttura di prima autorizzazione.
Con Decreto del Presidente della Giunta Regionale veniva autorizzato il trasferimento di 26 posti, e revocata l’autorizzazione e l’accreditamento per 4 posti. Il T.A.R. Calabria successivamente annullava il provvedimento amministrativo nella parte in cui revocava l’autorizzazione e l’accreditamento per 4 posti, così determinandone la reviviscenza.
In considerazione della sentenza del T.A.R., il Sindaco vietava la prosecuzione delle attività nella prima struttura, che, al momento di un sopralluogo da parte di NAS e ASL, ospitava 27 pazienti invece di 4. La struttura proseguiva l’attività.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria emetteva un decreto di sequestro preventivo, disposto in relazione ai reati di cui agli artt. 650 cod. pen. e 193, comma 3, r.d. n. 1265 del 1934, per l’inosservanza dell’ordine di inibizione alla prosecuzione dell’attività sanitaria, emesso dal Sindaco di Reggio Calabria
La Suprema Corte, adita con ricorso, ha preliminarmente dichiarato che risultava del tutto corretta la conclusione per cui la struttura della prima autorizzazione poteva essere ritenuta autorizzata ad ospitare solo 4 pazienti, e che quindi deve ritenersi corretta la conclusione del Tribunale di Reggio Calabria affermativa della legittimità dell’ordine di inibizione alla prosecuzione dell’attività sanitaria, emesso dal Sindaco di Reggio Calabria il 3 luglio 2019.
L’affermazione del fumus commissi delicti del reato di cui all’art. 193, terzo comma, r.d. n. 1265 del 1934, risulta corretta quanto meno con riferimento all’ipotesi della violazione delle «prescrizioni» dettate dall’autorità competente concernenti l’autorizzazione.
Ed infatti, l’attività della struttura sanitaria era in ogni caso esercitata in marcata violazione delle prescrizioni. Invero, l’autorizzazione consentiva, al massimo, l’ospitalità di 4 degenti; la struttura, invece, dal febbraio al settembre 2019, è risultata ospitare prima 27 e poi 26 pazienti. Risulta quindi indicata con chiarezza, e per amplissime proporzioni, la violazione delle prescrizioni concernenti l’autorizzazione, e, perciò, una condotta sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 193, comma 3, r.d. n. 1265 del 1934.