Fare credere che l’iscrizione ai social sia gratuita, è pratica commerciale ingannevole

Consiglio di Stato, sentenza n. 2631 del 29/03/2021

La controversia, nella sede d’appello, muove dalla sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, 10 gennaio 2020 n. 260 con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso (n. R.g. 15275/2018) proposto dalla società Facebook Ireland Limited nei confronti del provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 27432 adottato in data 29 novembre 2018 con il quale, a conclusione del procedimento istruttorio PS/11112, è stato sanzionata la società Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd per pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 21 e 22, del Codice del consumo.

Il Collegio ha ritenuto di dover affrontare, in prima battuta, il tema della non commercialità dei dati personali e quindi della non riconducibilità del loro trattamento con riguardo al diritto consumeristico, di modo che (secondo tale prospettiva coltivata dalla società appellante) la non patrimonialità del dato personale rende inapplicabile la disciplina in materia consumeristica alla tutela dei dati personali, cui è rivolta, in via esclusiva, la specifica normazione recata dal Regolamento eurounitario n. 679/2016.

L’Autorità, con il provvedimento n. 27432 adottato in data 29 novembre 2018, ha inteso sanzionare l’esercizio da parte delle società FB Inc. e FB Ireland Limited di un indebito condizionamento del consumatore-utente attraverso la richiesta dell’inserimento dei suoi dati sulla piattaforma, destinandoli poi alla profilazione commerciale con finalità di marketing, quale passaggio vincolante per poter accedere alla iscrizione, che veniva proclamata “gratuita”.

Ferma dunque la riconosciuta “centralità” della disciplina discendente dal GDPR e dai Codici della privacy adottati dai Paesi membri in materia di tutela di ogni strumento di sfruttamento dei dati personali, deve comunque ritenersi che allorquando il trattamento investa e coinvolga comportamenti e situazioni disciplinate da altre fonti giuridiche a tutela di altri valori e interessi (altrettanto rilevanti quanto la tutela del dato riferibile alla persona fisica), l’ordinamento – unionale prima e interno poi – non può permettere che alcuna espropriazione applicativa di altre discipline di settore, quale è quella, per il caso che qui interessa, della tutela del consumatore, riduca le tutele garantite alle persone fisiche.

In altre parole il rimprovero rivolto al professionista consisterebbe nel non aver informato l’utente, che in questo caso si trasforma tecnicamente in “consumatore”, nel momento in cui rende disponibili i propri dati al fine di potere utilizzare gratuitamente i servizi offerti dalle società FB, prima di tale operazione, nell’ambito della quale l’utente resta convinto che il conseguimento dei vantaggi collegati con l’accesso alla piattaforma sia gratuito, non potendo quindi riconoscere ed accorgersi che a fronte del vantaggio si realizza una automatica profilazione ad uso commerciale, non chiaramente ed immediatamente indicata, all’atto del primo accesso, quale inevitabile conseguenza della messa a disposizione dei dati.

Dal che discenderebbe l’irrilevanza dell’affermazione espressa dalla società appellante secondo la quale l’utente potrebbe comunque effettuare una operazione di “deselezione” tornando a salvaguardare i propri dati, in quanto:

– tale eventuale accadimento sarebbe comunque successivo alla iniziale profilazione, con la conseguenza che i dati, successivamente fatti oggetto di “deselezione”, sono già stati messi nella disponibilità dei soggetti che intendono sfruttarli commercialmente;

– la “deselezione” determina, quale conseguenza, il venire meno dei servizi social promessi come gratuiti ma che, evidentemente, gratuiti non sono, finendo per rappresentate il “corrispettivo” della messa a disposizione dei dati personali del singolo utente a fini commerciali.

Può quindi confermarsi che, diversamente da quanto ritenuto dalla società appellante, la disciplina della tutela della privacy e il Codice del consumo presentano ambiti operativi differenti e non contrastanti.

A fronte dunque della promessa gratuità del servizio l’utente era indotto ad accedere per ottenere i vantaggi “immateriali” costituiti dalla adesione e coinvolgimento in un social network in seguito all’iscrizione nella piattaforma mettendo a disposizione i propri dati personali, che venivano dunque coinvolti nella profilazione a fini commerciali senza che l’utente fosse stato reso edotto in modo efficace dell’esatta portata di tale utilizzo, che poteva essere interrotto, con revoca del consenso, solo in epoca successiva (difatti, pur potendo successivamente disattivare l’utilizzo dei dati, al momento della iscrizione in piattaforma l’utente non poteva esimersi dal cedere al professionista la mole di dati personali inseriti nel portale all’atto della registrazione e dall’autorizzarlo al loro trattamento) e a fronte di una capillare indicazione degli svantaggi che ne sarebbero conseguiti.

Per pacifica giurisprudenza, da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, l’obbligo di estrema chiarezza gravante sul professionista deve essere da costui assolto sin dal primo contatto, attraverso il quale debbono essere messi a disposizione del consumatore gli elementi essenziali per un’immediata percezione della offerta pubblicizzata (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 14 ottobre 2019 n. 6984, 15 luglio 2019 n. 4976 e 23 maggio 2019 n. 3347).

Nel caso di specie, come correttamente rilevato sia dall’Autorità, sia dal giudice di prime cure, il descritto obbligo di chiarezza non risulta rispettato, atteso che le informazioni rese all’utente al primo contatto, lungi dal contenere gli elementi essenziali per comprendere le condizioni e i limiti delle conseguenze che, a fronte della gratuità dei servizi offerti, deriveranno dalla profilazione in termini di indefinibilità dei soggetti che utilizzeranno i dati personali messi a disposizione e del tipo di utilizzo commerciale connesso, lasciano supporre che sia possibile ottenere immediatamente e facilmente, ma soprattutto “gratuitamente” (e per tutto il periodo in cui l’utente manterrà l’iscrizione in piattaforma), il vantaggio collegato dal ricevimento dei servizi tipici di un social network senza oneri economici, omettendo di comunicare che, invece, ciò avverrà (e si manterrà) solo se (e fino a quando) i dati saranno resi disponibili a soggetti commerciali non definibili anticipatamente ed operanti in settori anch’essi non pre-indicati per finalità di uso commerciale e di diffusione pubblicitaria.

Tanto basta a integrare gli estremi della pratica ingannevole, in quanto nel contesto del messaggio iniziale non si dà adeguato risalto alle suindicate conseguenze.

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