Corte di Cassazione, sentenza n 13912 del 20 maggio 2021
In relazione all’attività degli organi collegiali, questa Corte (Cass. 3467/2019) ha già affermato che la formazione della volontà resta distinta dalla manifestazione, sicché mentre la prima si deve formare all’interno dell’organo collegiale, secondo le regole che ne presiedono il funzionamento, all’esterno l’organo agisce in persona del soggetto che lo rappresenta, sicché gli atti ben possono essere sottoscritti solo da quest’ultimo. Il principio, condiviso dal Collegio è stato ribadito da questa Corte nelle sentenze richiamate nel p.n. 14 di questa sentenza.. Nelle pronunce innanzi richiamate è stato affermato che non ha giuridico fondamento la tesi secondo cui dalla natura perfetta del collegio deriverebbe la necessità che tutte le persone fisiche che lo compongono assumano anche all’esterno la paternità dell’atto, sottoscrivendolo.
A detto assorbente rilievo si deve aggiungere che, secondo la giurisprudenza amministrativa, il collegio perfetto è caratterizzato dalla circostanza che lo stesso deve operare con il plenum dei suoi componenti nelle fasi in cui l’organo è chiamato a compiere valutazioni tecnico-discrezionali o ad esercitare prerogative decisorie, rispetto alle quali si configura l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il loro contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale, esigenza che, invece, non ricorre rispetto agli atti istruttori (C.d.S. n. 5187/2015, n. 40/2015).
Alle medesime conclusioni questa Corte è pervenuta in relazione all’attività dell’UPD, se a composizione collegiale, in ordine alla quale si è sottolineato che devono essere collegialmente compiute “solo le attività valutative e deliberative vere e proprie (rispetto alle quali sussiste l’esigenza che tutti i suoi componenti offrano il proprio contributo ai fini di una corretta formazione della volontà collegiale) e non anche quelle preparatorie, istruttorie o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso” (Cass. 14200/2018, 8245/2016)
Anche sotto questo profilo, pertanto, la doglianza formulata nel primo motivo è infondata perché la contestazione degli addebiti, con la quale si dà avvio al procedimento disciplinare, non ha natura decisoria né è espressione di un potere discrezionale, in quanto nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato, a differenza dell’impiego privato, l’iniziativa disciplinare è doverosa (Cass. 20880/2018, 8722/2017), tanto che la sua omissione è fonte di responsabilità per il soggetto tenuto ad attivare il procedimento.
In conclusione, la statuizione del giudice di Merito, che ha rigettato la tesi della nullità dell’azione disciplinare per mancanza della forma collegiale della contestazione degli addebiti, è conforme ai principi di diritto innanzi richiamati. La Corte territoriale ha, infatti, rilevato che dall’esame dei verbali dell’Ufficio Procedimenti Disciplinari (UPD), antecedenti la comunicazione della suindicata contestazione, risultava che la relativa delibera era stata collegiale e che la comunicazione era stata sottoscritta dal Presidente dell’UPD.
Deve, infine, aggiungersi che, anche con riguardo all’affermata irrilevanza, in questa sede, della mancata protocollazione dei verbali dell’UPD, su cui si sofferma il ricorrente, la sentenza impugnata è immune da censure. Va, infatti, osservato che anche per gli atti amministrativi la catalogazione in ordine cronologico, tramite apposizione di un numero progressivo, cosiddetto di protocollo, riportato in un registro, costituisce elemento non irrilevante di buon N. RG. 4169 2019 andamento dell’Amministrazione per l’ordinata conservazione e l’agevole reperibilità nel tempo degli atti stessi; ma non può considerarsi requisito di validità del provvedimento, i cui elementi costitutivi – motivazione, dispositivo, data di emanazione – sono riportati nell’atto stesso ed attestati dalla firma dell’autorità competente (Cass. n. 14810/2020; Cons. Stato 6 agosto 2013, n. 4113). 29. Va anche osservato che, nella specie, non vengono in considerazione atti amministrativi pubblici, bensì atti posti in essere dalla P.A. con i poteri propri del datore di lavoro privato e, come tali, soggetti alla disciplina privatistica, visto che i procedimenti disciplinari di cui al d.lgs. n. 165 del 2001 non costituiscono procedimenti amministrativi (vedi, per tutte: Cass. 18 ottobre 2016, n. 21032). 30. Ne consegue che, a maggior ragione, per tali procedimenti l’utilizzazione della protocollazione degli atti può essere utile (Cass. 19672/2019, Cass. 14810/2019: Cass. 2160/2019), ma si tratta di una mera scelta di modalità organizzative della P.A., la cui mancata adozione non può avere alcuna incidenza sulla validità del procedimento disciplinare e sulla sussistenza della Causa dell’atto di recesso datoriale, la cui legittimità è compito del giudice del merito valutare, come accaduto nella specie (Cass. 14810/2019, Cass. 19672/2019, Cass. 11751/2016).