Corte di Cassazione, sentenza n 13911 del 20 maggio 2021
La delega degli atti istruttori è stata, quindi, ritenuta ammissibile in fattispecie nelle quali l’atto era stato delegato a dipendenti assegnati alla struttura amministrativa dell’ufficio per i procedimenti (Cass. n. 5317/2017 cit.), ad altri dirigenti (Cass. 24828/2015) nonchè ai singoli componenti dell’ufficio a composizione collegiale; tanto sul rilievo che, in tal caso, la necessaria collegialità resta circoscritta alle attività valutative e deliberative vere e proprie e non si estende “a quelle preparatorie, istruttorie o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso” (Cass. 8245/2016).
Più in generale, questa Corte ha affermato che le norme sulla competenza non vanno confuse con le regole del procedimento per cui, ove risulti che quest’ultimo sia stato, comunque, gestito dal soggetto titolare del potere, non ogni difformità rispetto alla previsione normativa produce la nullità della sanzione, la quale, invece, è configurabile solo qualora l’interferenza di organi esterni all’UPD “abbia determinato decisiva – nel senso di sostitutiva e non meramente additiva compartecipazione del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento, con conseguente inammissibile sostanziale trasferimento della competenza dall’organo competente ad un diverso organo, sicuramente non competente” (Cass. 11632/2016).
Il Collegio condivide i principi innanzi richiamati, che, pur affermati con riguardo all’ art. 55 bis del d. Igs. n. 165 del 2001, devono ritenersi applicabili anche alla fattispecie in esame, ricadente ratione temporis nella disciplina dettata dall’art. 55 de: d.lgs. n. 165 del 2001 (il procedimento disciplinare ha avuto inizio prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal d. Igs. n. 150 del 2009). La formulazione originario comma 4 dell’art. 55 coincide, infatti, in parte qua con quella del comma 4 dell’art. 55 bis.
E’, altrettanto, condivisibile il principio (Cass. 14200/2018), affermato in fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, per il quale gli atti del procedimento disciplinare, in quanto espressione di un potere privatistico del datore di lavoro, non hanno natura amministrativa, sicchè rispetto agli stessi non operano i principi che, in relazione agli atti autoritativi, limitano la delega di funzioni. Al riguardo, è stato osservato che la delega, in assenza di una specifica previsione normativa, deve essere esclusa solo nelle ipotesi in cui l’attribuzione del potere ad altro soggetto, anche se momentanea e circoscritta al compimento del singolo atto, si risolva nella mortificazione delle finalità che il legislatore ha inteso perseguire, attraverso la previsione di un apposito ufficio per i procedimenti competente ad irrogare le sanzioni più gravi, finalità già individuate da questa Corte nell’esigenza di offrire al lavoratore pubblico sufficienti garanzie di imparzialità, in ragione della “specializzazione” di tale organo e della sua indifferenza rispetto al capo della struttura del dipendente incolpato, coinvolto direttamente nella vicenda disciplinare (Cass. n. 11632/2016 e Cass. n. 5317/2017 cit.). 47. In questa prospettiva, è stato affermato che, mentre non è ammissibile la delega rispetto ad atti che implicano un’attività valutativa e decisoria, non altrettanto può dirsi per quelli meramente istruttori, che vengano compiuti su indicazione dell’ufficio delegante ed i cui esiti siano sottoposti a verifica da parte di quest’ultimo. In tal caso, infatti, non subisce alcuna lesione il diritto di difesa del dipendente incolpato nè viene meno la garanzia di terzietà, da intendersi nei termini indicati da Cass. n. 5317/2017, perchè l’atto è, comunque, riferibile al soggetto delegante, il quale resta dominus dell’istruttoria ed è chiamato a valutarne all’esito i risultati, quanto alla completezza degli atti assunti ed all’idoneità degli stessi a sorreggere l’accusa disciplinare.