Corte di Cassazione, sentenza n. 16402 del 10 giugno 2021
In tema di violazione dei dati personali, la Corte di Cassazione ha già enunciato il principio di diritto secondo cui il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (vedi Cass. n. 17383 del 20/08/2020).
E’ stato, altresì, affermato che il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa” , non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (vedi Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 29206/2019).
Nel caso di specie, condivisibilmente il giudice di merito ha osservato che il ricorrente si era limitato a dedurre la violazione della normativa sul trattamento dei dati personali. D’altra parte, la mera allegazione da parte del ricorrente che l’illecito uso dei dati personali riguardanti la sua vita lavorativa gli avrebbe procurato una sofferenza (seppur che di tali dati erano venuti a conoscenza soggetti che gli avevano testo un agguato) costituisce un’asserzione generica ed apodittica inidonea anche solo a far comprendere i motivi di tale turbamento.