Consiglio di Stato, sentenza n 6111 del 30 agosto 2021
Con riferimento al caso di specie l’atto convenzionale assumeva natura pubblicistica ed era idoneo a coinvolgere anche la sfera giuridica dei docenti trasferiti: facendosi questione di soggetti incisi dall’esercizio del pubblico potere, i docenti dovevano ritenersi titolari sul piano sostanziale di una posizione di interesse legittimo.
Nella specie, l’assegnazione del docente, per cinque anni, presso un diverso Ateneo, con sede in altra città, sebbene riesaminabile (al pari di ogni utilità originata da un atto amministrativo, per propria natura suscettibile di autotutela decisoria), risultava comunque idonea a determinare uno stabile mutamento delle abitudini di vita e lavorative del lavoratore – in assenza di un legame funzionale con l’originaria sede lavorativa -, tale da fare sorgere in capo al lavoratore un interesse alla conservazione della posizione lavorativa riconosciuta in via convenzionale, per il periodo temporale all’uopo prestabilito.
Del resto, la convenzione conclusa tra le Università di Ferrara e Udine non risultava funzionale a realizzare le sole esigenze organizzative delle parti pubbliche firmatarie, ma valorizzava pure il peculiare interesse del docente allo svolgimento della propria attività lavorativa presso altro Ateneo.
La convenzione de qua risultava, infatti, regolata altresì dall’art. 1, comma 1, del decreto ministeriale 26 aprile 2011, n. 167, secondo cui “per il perseguimento di finalità di interesse comune le università possono stipulare convenzioni per consentire ai professori e ricercatori a tempo pieno di svolgere attività didattica e di ricerca presso altro ateneo stabilendo le modalità di ripartizione dei relativi oneri”.
Alla stregua delle osservazioni svolte, si conferma che il professore era titolare di una situazione giuridica soggettiva qualificabile in termini di interesse legittimo oppositivo, essendo interessato (per effetto del consenso alla regolazione amministrativa manifestato, non revocato in costanza di rapporto) alla conservazione dell’utilità riconosciuta dall’atto convenzionale, tale da legittimare la sua opposizione ad eventuali provvedimenti di autotutela adottabili dalle parti pubbliche firmatarie.
Una revoca della disciplina convenzionale avrebbe infatti imposto un anticipato rientro del docente presso l’Ateneo di appartenenza.
A fronte di un interesse legittimo oppositivo, l’invalidità dell’atto lesivo e la lesione dell’interesse privato alla conservazione dell’utilità negata dall’organo procedente sono, dunque, sufficienti per riscontrare sul piano oggettivo una responsabilità civile dell’Amministrazione procedente.
In siffatte ipotesi, non occorre svolgere in sede giurisdizionale alcun giudizio prognostico di spettanza del bene della vita ambito dal ricorrente – come tipicamente avviene in caso di atti lesivi di un interesse pretensivo, all’acquisizione di un’utilità ancora non compresa nel patrimonio giuridico individuale, attribuibile soltanto per effetto dell’intermediazione amministrativa -, tenuto conto che il bene della vita a tutela del quale agisce la parte privata preesiste all’esercizio del potere censurato in giudizio, venendo riacquisito dal ricorrente per effetto dell’annullamento dell’atto sacrificativo.