Con l’interposizione fittizia di manodopera si rischia l’accusa di dichiarazione fraudolenta per fatture giuridicamente inesistenti

Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza n 32877 dep 6 settembre 2021

La contestazione a carico dell’indagata era per il reato di cui all’art. 2 del d. Lgs. n. 74 del 2000, assumendosi che le fatture, pur se relative a operazioni economiche di fatto eseguite, dovevano tuttavia considerarsi relative a operazioni giuridicamente inesistenti, in quanto la M.S. aveva utilizzato, nei rapporti con tutte le molteplici società committenti, il medesimo schema contrattuale standard senza assumere su di sé alcun rischio di impresa e pattuendo un corrispettivo calibrato esclusivamente sul costo della manodopera, maggiorato soltanto del mark-up (apertura pratica, utilizzo software ecc.), senza dunque remunerare in alcun modo l’assunzione del rischio di impresa e della correlativa organizzazione, elementi questi essenziali di ogni contratto di appalto.


Tale impostazione è stata condivisa sia dal G.I.P. che dal Tribunale del Riesame, in base al rilievo secondo cui la predisposizione di tale meccanismo, nel quale la M.S. s.r.l. operava come mera “cartiera evoluta”, aveva consentito alle società utilizzatrici delle fatture emesse, dunque anche V. e P. s.r.l., di abbattere indebitamente il reddito di esercizio mediante imputazione del costo dei servizi, rappresentato dal costo del lavoro, in modo da detrarre l’iva esposte nelle fatture in esame, usufruendo così di un credito IVA che altrimenti le due società non avrebbero maturato; a ciò il Tribunale del Riesame ha aggiunto che le società amministrate dalla ricorrente e la M.S., sotto la forma negoziale del contratto di appalto, hanno in realtà dissimulato una illecita intermediazione di manodopera, al fine di beneficiare del diverso regime impositivo e incamerare il relativo profitto.

Tuttavia, la ritenuta compatibilità del dolo eventuale, anche in sede cautelare reale, comporta pur sempre la necessità di una verifica adeguata sull’esistenza dell’elemento soggettivo del dichiarante, verifica da compiere in concreto mediante l’esame della tipologia delle operazioni compiute e di tutte le circostanze eventualmente rivelatrici della finalità di evasione del soggetto agente, ivi compresa la compiuta individuazione del profitto, tema questo invero non sufficientemente esplorato dai giudici dell’impugnazione cautelare.

Sotto tale profilo, l’apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata appare dunque carente, soprattutto con riferimento al confronto con i temi proposti dalla difesa rispetto alla valutazione del dolo, integrando ciò un profilo di violazione di legge che impone l’annullamento con rinvio del provvedimento e l’esigenza di un nuovo approfondimento in sede di merito, da compiere alla luce delle premesse prima richiamate circa l’ambito valutativo del Tribunale rispetto alla configurabilità del fumus commisi delicti in tema di sequestro preventivo.

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