In presenza di un quadro normativo chiaro, la prassi amministrativa contra legem dell’ufficio non salva il funzionario dal danno erariale

Corte dei Conti, Seconda Sezione Centrale d’Appello, sentenza n. 322 del 7 settembre 2021

Risultano evidenti la sussistenza ed illiceità delle condotte contestate all’appellante (consistite, come più volte ricordato, nell’accoglimento di n. 55 domande di riscatto finalizzate alla costituzione di altrettante rendite vitalizie, all’esito di istruttoria inadeguata e carente, essenzialmente per l’assenza di documenti di data certa, dimostranti la costituzione del rapporto di lavoro).
La predetta circostanza risulta incontrovertibile alla stregua della complessiva documentazione contenuta nel fascicolo processuale
Sussiste sicuramente, in capo al Sig. X, anche l’elemento psicologico della colpa grave, correttamente ravvisato dal giudice di I grado.
Tale conclusione si giustifica alla luce di una pluralità di circostanze quali:
a) la chiarezza, specificità e puntualità del quadro normativo di riferimento, rappresentato, come detto, da disposizioni primarie e da plurime disposizioni interne dell’Istituto;
b) la reiterata violazione del predetto quadro normativo;
D’altro canto, a fronte di quadro normativo così chiaro ed univoco, nessun rilievo può essere riconosciuto alla circostanza, per contro richiamata dall’appellante, per cui lo stesso si sarebbe attenuto ad una (diversa) prassi interpretativa, seguita anche da altri funzionari dell’INPS.
In ogni caso, poi, per consolidata giurisprudenza, la presenza di prassi amministrative contra legem non può in alcun modo scriminare, nemmeno sotto il profilo del difetto dell’elemento psicologico, il comportamento dell’agente pubblico, sul quale incombe, anzi, l’obbligo di modificare e disapplicare tali prassi, se non conformi a legge (in termini, tra le altre, Corte Conti, Sez. I d’Appello, 13 novembre 2017, n. 477, richiamante Sez. II n. 144/2015 e n. 177/2006).
Infatti, la consolidata giurisprudenza ritiene che la predetta buona fede soggettiva non possa ritenersi sussistente e, dunque, non possa giovare in presenza di errore inescusabile dell’agente in ordine alla correttezza del proprio operato (in termini, tra le altre, Corte Conti, Sez. III d’Appello, 21 marzo 2017, n. 129, con particolare riferimento alla necessità di indagare la scusabilità dell’errore per l’ipotesi di azione indotta dall’ignoranza della realtà delle cose ovvero della fattispecie giuridica).
La presenza di un quadro normativo del tutto chiaro e puntuale nonché di circolari ed atti d’indirizzo univoci, escludono quindi la possibilità di ravvisare, in capo al medesimo Sig. X, quell’affidamento incolpevole nella correttezza del proprio operato, necessario ad integrare la sua buona fede.

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