Proroga illegittima: il contratto può continuare (a determinate condizioni), ma il danno da perdita di chance è il 10% dell’utile

Consiglio di Stato, sentenza n. 6268 del 13 settembre 2021

L’illegittimità accertata è ascrivibile all’ipotesi di cui all’art. 121, comma 1, lettera b), c.p.a., risolvendosi la contestata proroga in un affidamento diretto «con procedura negoziata senza bando […] fuori dai casi consentiti». Tuttavia, la dichiarata illegittimità della procedura di affidamento non comporta automaticamente la nullità del contratto per mancanza di elementi essenziali. 

Ciò posto, il Collegio concorda sull’opportunità di respingere la declaratoria di inefficacia della proroga, in applicazione del comma 2 del citato art. 121 c.p.a., secondo il quale: «Il contratto resta efficace, anche in presenza delle violazioni di cui al comma 1 qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Tra le esigenze imperative rientrano, fra l’altro, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore attuale. Gli interessi economici possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo in circostanze eccezionali in cui l’inefficacia del contratto conduce a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all’eventuale mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporta l’obbligo di rinnovare la gara. Non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono fra l’altro i costi derivanti dal ritardo nell’esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dell’operatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia».

Infine si esamina il riconoscimento della risarcibilità della perdita di ‘chance’, come è noto, è frutto di una lenta evoluzione interpretativa.

Si tratta, invero, di figura elaborata al fine di ‘traslare’ sul versante delle situazioni soggettive ‒ e, quindi, del danno ingiusto ‒ un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia affatto possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.

Per superare l’impasse dell’insuperabile deficienza cognitiva del processo eziologico, il sacrificio della ‘possibilità’ di conseguire il risultato finale viene fatto assurgere a bene giuridico ‘autonomo’.

Il richiamo del giudice di primo grado alla ‘elevata probabilità’ di realizzazione, quale condizione affinché la ‘chance’ acquisti rilevanza giuridica, è fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della figura in esame alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato).

La ‘chance’ prospetta invece, come si è detto, un’ipotesi ‒ assai ricorrente nel diritto amministrativo ‒ di danno solo ‘ipotetico’, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato. Pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non ne è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale.

Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate.

Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo.

Nel caso di specie, la scelta dell’Amministrazione di prorogare, per la terza volta, le concessioni in essere ha senza dubbio conculcato le chance acquisitive dell’operatore economico ricorrente, che appaiono al Collegio dotate del carattere della ‘serietà’.

Secondo il consolidato indirizzo del Consiglio di Stato, la responsabilità per danni conseguenti alla violazione delle norme in materia di aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa (ex plurimis, Sezione V, 1 febbraio 2021; 2 gennaio 2019, n. 14; 25 febbraio 2019, n. 1257; 25 febbraio 2016, n. 772; 19 luglio 2018, n. 4381).

Al fine della liquidazione del danno da perdita della ‘chance’ (diverso, alla luce di tutto quanto detto sopra, dal danno di mancata aggiudicazione che si identifica con l’interesse positivo ed il danno curricolare) si rende necessaria una valutazione equitativa, e, tenuto conto della limitata durata della proroga e presumendo che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori (o avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno), il danno va liquidato in via equitativa nella misura di € 60.000,00, ossia in misura non superiore al 10 per cento circa dell’utile astrattamente ritraibile dall’affidamento in parola.

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