Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n 26760 del 14 luglio 2021
In materia di reato compiuto da alcuni dipendenti, l’autorità giudiziaria procedente si è avvalsa del GPS installato sulle auto aziendali. Tale sistema non era stato installato rispettando le garanzie previste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, e quindi i dipendenti hanno eccepito l’inutilizzabilità della prova.
Ma la Corte è stata di diverso avviso. Si è in particolare precisato (in continuità con Sez. 2, n. 23172 del 4/4/2019, Rv. 276966) che la localizzazione “da remoto” a mezzo di sistema di rilevamento satellitare (GPS) degli spostamenti di un soggetto, rientrante fra i mezzi atipici di ricerca della prova, è utilizzabile nel processo penale senza necessità di autorizzazione preventiva da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto non si risolve in una interferenza con il diritto alla riservatezza delle comunicazioni né in una lesione dell’inviolabilità del domicilio, e senza che rilevi l’eventuale violazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 4, comma secondo, dello Statuto dei lavoratori, che riguardano soltanto i rapporti di diritto privato tra datore di lavoro e lavoratori ma non possono avere rilievo nell’attività di accertamento e repressione di fatti costituenti reato.
Ciò non toglie, però, che la violazione delle disciplina di cui al citato art. 4 costituisce reato.
Infatti in proposito si è così espressa la Suprema Corte (Corte di Cassazione, sentenza n 3255/2021):
“La questione da esaminare è se sia configurabile il reato per la violazione della disciplina di cui all’art. 4 legge 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. “statuto dei lavoratori”), quando l’impianto audiovisivo installato sul luogo di lavoro in difetto di accordo con le rappresentanze sindacali legittimate, o di autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, abbia la funzione di tutelare il patrimonio aziendale.
Sembra utile premettere che la fattispecie in esame, originariamente prevista come reato dal combinato disposto degli artt. 4 e 38 legge n. 300 del 1970, è a tutt’oggi penalmente sanzionata.
Chiarissima, in effetti, è l’indicazione data dall’art. 171 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nel testo vigente per effetto delle modifiche recate dall’art. 15, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, il quale prevede: «La violazione delle disposizioni di cui agli articoli 4, comma 1, e 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300, è punita con le sanzioni di cui all’articolo 38 della medesima legge». L’art. 38 legge n. 300 del 1970, a sua volta, nel testo attualmente vigente dopo le modifiche di cui all’art. 179 d.lgs. n. 196 del 2003, stabilisce: «Le violazioni degli articoli 2, 5, 6 e 15, primo comma, lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno». Risulta evidente, quindi, che la violazione della disciplina di cui all’art. 4 legge n. 300 del 1970 costituisce illecito penale in forza di quanto dispone l’art. 171 d.lgs. n. 196 del 2003, nel testo vigente dopo la riforma di cui alla legge n. 101 del 2018, il quale rinvia all’art. 38 della legge n. 300 del 1970 per la individuazione delle sanzioni applicabili. Deve aggiungersi che la configurabilità dell’illecito penale medio tempore, dopo le riforme recate all’art. 38 dall’art. 179 d.lgs. n. 196 del 2003 e dall’art. 23 d.lgs. 14 settembre 2015, n. 151, ma prima della riforma di cui alla legge n. 101 del 2018, è stata ripetutamente ribadita dalla giurisprudenza (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 4564 del 10/10/2017, dep. 2018, Malagnino, Rv. 272032-01, nonché Sez. 3, n. 45198 del 07/04/2016, Luzi, Rv. 268342-01, massimata per altro).