Corte di Cassazione, sentenza n 25731 del 22 settembre 2021
Sotto il profilo della pretesa errata applicazione dell’art. 4, comma 3, dello Statuto dei lavoratori, il motivo non merita accoglimento. La lavoratrice osserva nel controricorso che l’accesso era stato sì legittimo ai sensi dell’art. 13 del Regolamento aziendale, ma l’inutilizzabilità dei dati raccolti è stata fatta correttamente derivare dalla mancata tempestiva informazione dei dipendenti ai sensi dell’art. 4 comma 3 dello Statuto dei lavoratori. Ad avviso del Collegio la norma in esame è stata correttamente applicata dai giudici di appello.
Quanto alla questione relativa alla qualificazione come “strumento di lavoro” della chat aziendale oggetto dei controlli non sembra possano sussistere dubbi, essendo essa, pacificamente, funzionale alla prestazione lavorativa. In questi casi la disciplina vigente prevede bensì l’esclusione delle procedure di garanzia di cui al comma 1 dell’art. 4 per tali controlli. Tuttavia, negli stessi casi l’utilizzabilità del risultato di tali controlli “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, compresi quindi quelli disciplinari, è subordinata, secondo il comma 3 dello stesso art. 4, alla “condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.” Ora, la sentenza impugnata ha accertato che era mancata l’adeguata informazione preventiva del lavoratore, giacché la comunicazione aziendale del 9 marzo 2017 con la quale i lavoratori erano stati informati della soppressione della chat aziendale con decorrenza immediata era successiva all’effettuazione dei controlli. Né poteva soccorrere la previsione del Regolamento aziendale, che nulla diceva in ordine alle modalità con cui potevano essere eseguiti i controlli.