Il danno iure hereditatis non si scomputa dalle somme dovute dall’INAIL

Corte di Cassazione, sentenza n 29028 del 20 ottobre 2021

Secondo la costante giurisprudenza della Corte, il “danno non patrimoniale spettante iure hereditatis” ai congiunti dell’infortunato “non rientra tra le voci indennizzabili dall’Inail e si colloca, pertanto, tra i danni c.d. complementari, rispetto ai quali non si pone un problema attinente ai criteri di scomputo”, e ciò in considerazione del fatto che “la prestazione economica che la legge pone a carico dell’ente previdenziale in caso di morte del lavoratore assicurato, cioè la rendita in favore dei superstiti, costituisce risarcimento del danno patrimoniale subito in dipendenza della morte del congiunto” (così, tra le molte, in motivazione Cass. Sez. Lav., sent. 27 marzo 2019, n. 8580, non massimata sul punto, ma nello stesso senso, sempre in motivazione, anche Cass. Sez. Lav., sent. 10 marzo 2017, n. 6306, Rv. 643440-01 e Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2003, non massimata), sicché essa “attiene quindi ad una voce eterogenea rispetto al danno non patrimoniale riconosciuto nel caso in esame iure hereditatis, come tale neanche astrattamente scomputabile secondo l’indirizzo consolidato sopra richiamato che esige, comunque, la omogeneità dei pregiudizi e delle corrispondenti poste” (cfr., nuovamente, Cass. Sez. Lav., sent. n. 8580 del 2019, cit.).


Pertanto, “le somme erogate dall’Inail per il suddetto titolo non possono essere defalcate dal credito risarcitorio spettante ai congiunti del lavoratore deceduto a titolo di ristoro del danno non patrimoniale patito – sotto qualsiasi forma – in conseguenza dell’infortunio”, e ciò perché la c.d. “compensatio lucri cum damno” non opera “quando il vantaggio conseguito dalla vittima dopo il fatto illecito sia destinato a ristorare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di cui ha chiesto il risarcimento, così come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte” (così, nuovamente, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 26647 del 2019, cit., che richiama, correttamente, Cass. Sez. Un., sent. 22 maggio 2018, n. 12566, Rv. 648649-01).

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