Green pass e decreti legge: equilibrismi costituzionali

Il Ministero della Giustizia, con un comunicato pubblicato in GU Serie Generale n.268 del 10-11-2021, ha reso nota la mancata conversione del decreto-legge 10 settembre 2021, n. 122, recante: «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza da COVID-19 in ambito scolastico, della formazione superiore e socio sanitario-assistenziale».


In particolare il decreto legge non convertito prevedeva l’impiego delle certificazioni verdi COVID-19 per l’accesso in ambito scolastico, educativo e formativo, per l’accesso nelle strutture della formazione superiore, l’estensione dell’obbligo vaccinale in strutture residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitarie.
Ciò era disposto mediante l’inserimento nel decreto-legge 22 aprile 2021 n. 52, degli artt. 9-ter.1 e 9-ter.2, e nel decreto-legge 1° aprile 2021 n. 44, dell’art. 4-bis.

In materia di green pass è subito dopo intervenuto il decreto Legge 21 settembre 2021, n. 127, che ha introdotto l’obbligo di green pass sui luoghi di lavoro, pubblici e privati, superando in alcuni casi (p.es. sanità, scuola) quanto disposto dal dl 122/2021.
Però, lo stesso decteto 127/2021 all’art. 1, comma 1 specifica che “Resta fermo quanto previsto dagli articoli 9-ter, 9-ter.1 e 9-ter.2 del presente decreto e dagli articoli 4 e 4-bis del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44.

Nel frattempo, ricordiamo, il decreto legge che aveva introdotto quegli articoli, non è stato convertito in legge, e quindi cessano di avere efficacia tutte le disposizioni ivi riportate. E gli articoli riguardanti il green pass?

In medio tempore è intervenuta la legge 24 settembre 2021 n. 133 (pubblicata in GU n.235 del 01-10-2021 ed efficace dal 02/10/2021) di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 6 agosto 2021, n. 111. Tale legge di conversione introduce nel decreto legge 6 agosto 2021, n. 111 l’art. 01, che, a sua volta, modifica all’articolo 9 del decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, e introduce (o meglio re-introduce) gli artt. 9-ter.1, 9-ter.2, nonchè modifica l’articolo 4 del decreto-legge 1° aprile 2021 n. 44, aggiungendo l’art. 4-bis.

Quindi, le norme introdotte da un decreto legge non convertito, sono state fatte salve da un altro decreto legge convertito in legge.

Orbene, c’è da considerare che la legge 2 agosto 1988 n. 400 ha espressamente vietato (all’art. 15, II comma, lettera d) di regolare, con un nuovo decreto legge, i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti, mostrando, così, di condividere quanto – ormai da molto tempo – la giuspubblicistica andava predicando: ovvero che tale attività è riservata, ex art. 77 ultimo comma della Costituzione, alla sovrana autonomia del Parlamento.
Secondo questo modello, è incostituzionale il decreto-legge che pretende, mediante la conservazione degli effetti prodottisi sotto la vigenza del decreto-legge precedente, di sostituirsi alla legge formale.
Con riferimento alla reiterazione, il fenomeno qui descritto sembra condividere anche le problematiche che la Corte costituzionale individuò nella sentenza n. 360 del 1996, e cioè la mutazione della natura provvisoria del decreto ancorata al “termine invalicabile” contenuto nell’art. 77 Cost., la lesione della straordinarietà dei requisiti della necessità ed urgenza, l’attenuazione della conseguenza della perdita retroattiva di efficacia del decreto legge non convertito, il vulnus al principio di certezza del diritto, l’assenza di nuovi autonomi presupposti, ed anche un significativo spostamento dell’asse del potere legislativo in favore del Governo.

Anche il Il Regolamento della Camera dei deputati, all’art. 99 (rubricato decreti-legge), dispone che i provvedimenti d’urgenza (id est decreti legge) non possono rinnovare disposizioni contenute in precedenti decreti non convertiti in legge.

La Corte costituzionale, però, ha attribuito al Parlamento, con la pronuncia dianzi citata, la possibilità di fare salvi «gli effetti dei decreti-legge iterati o reiterati» se, con riguardo a tali atti governativi, sia intervenuta una delle due leggi previste dal c. 3° dell’art. 77 Cost., e cioè, la conversione o la sanatoria degli effetti prodotti dal decreto governativo.

Il vizio della reiterazione, afferma la Corte, attenendo al procedimento di formazione del decreto-legge «può ritenersi sanato quando le Camere, attraverso la legge di conversione (o di sanatoria), abbiano assunto come propri i contenuti o gli effetti della disciplina adottata dal Governo»

Questo è quello che è avvenuto nel caso concreto, perché l’introduzione dei commi in questione è avvenuta attraverso la legge di conversione, che è un atto proprio del Parlamento, e non con un decreto legge.

Insomma, la coerenza costituzionale è fatta salva, ma quanti equilibrismi!

Comments are closed.