Corte di Cassazione, sentenza n. 5813 del 22 febbraio 2022
Un dipendente era stato sospeso dal servizio, poichè condannato in primo grado per peculato, con un’indennità del 50% dello stipendio. Quando era giunta l’assoluzione, il dipendente non aveva comunicato nulla e aveva continuato per 2 anni a percepire l’indennità, senza rendere nessuna prestazione. Quando l’amministrazione l’ha scoperto, ha lo ha licenziato.
In merito la Suprema Corte, rigettando le ragioni dell’amministrazione, ha stabilito che:
l’ articolo 4 della legge nr. 97/2001 obbliga la pubblica amministrazione a disporre la sospensione del dipendente dal servizio in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei delitti previsti nel precedente art. 3, tra i quali vi è il delitto di peculato, per il quale l’odierna parte ricorrente veniva condannata dal Tribunale penale di Brescia. A tenore del medesimo articolo 4 la sospensione cautelare perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione, anche non definitiva, nella specie resa nel giudizio penale di appello. All’esito della assoluzione, è a carico della amministrazione l’obbligo di assumere le determinazioni conseguenziali ovvero di disporre la riammissione in servizio del dipendente, con atto ricognitivo del venir meno della causa di sospensione (o, alternativamente, la sospensione facoltativa dal servizio, ove ne ricorrano i presupposti). In mancanza di una disposizione di riammissione del dipendente in servizio, non può configurarsi a carico di quest’ultimo un addebito di assenza ingiustificata; la riattivazione della funzionalità del rapporto di lavoro presuppone, a tutela di una fondamentale esigenza di certezza giuridica, oltre che in applicazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, il previo formale invito a riprendere servizio, diretto dalla amministrazione datrice di lavoro al dipendente.
Sotto il profilo della valutazione della gravità condotta del dipendente va altresì considerato che, contrariamente a quanto affermato dal giudice dell’appello, l’obbligo della Cancelleria dell’ufficio giudiziario di dare comunicazione alla amministrazione di appartenenza della sentenza penale resa nei confronti del pubblico dipendente, ai sensi dell’articolo 154 ter disp.att.cod.proc.pen., non è limitato alle sentenze di condanna ma si riferisce a tutte le sentenze penali, indipendentemente dal contenuto del dispositivo.