Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Toscana, sentenza n 39 del 3 marzo 2022
La “proposta” nel diritto pubblico: è necessario premettere che, nel diritto civile (articolo 1326 del codice civile), la proposta dell’offerente rappresenta lo strumento formale per consentire il perfezionamento della fattispecie contrattuale, tramite la combinazione di due manifestazioni di volontà tese al medesimo scopo.
Per contro, nel diritto pubblico la proposta è l’atto propedeutico all’adozione di un provvedimento che non ne preclude l’imputazione al solo soggetto emanante. Di norma, infatti, le pubbliche autorità agiscono secondo modelli unilaterali che non prevedono il concorso di volontà formale di più soggetti.
Peraltro, in molti casi, la normativa primaria, nell’affidare determinati atti di cura dell’interesse pubblico, prevede espressamente che un certo provvedimento debba essere adottato su proposta di altro soggetto.
L’effetto di tali disposizioni è quello di scindere l’imputazione dell’atto finale dall’impulso all’adozione di un determinato contenuto: infatti, il primo resta di competenza dell’autorità che emette la determinazione ultimativa, mentre il secondo è appunto determinato dall’autorità proponente.
Si tratta, peraltro, di una sostanziale eccezione al principio logico-giuridico secondo cui la determinazione del contenuto dell’atto è di competenza, essenzialmente, dell’autorità emanante.
In questo, come altri casi, potrebbe nascere il dubbio sulla ragione che giustifica la scissione in commento nell’assetto normativo.
Essa deve essere individuata nella volontà di garantire il massimo grado possibile di tutela della legalità, tramite l’attribuzione di un (reciproco) potere di controllo ai soggetti partecipanti alla fattispecie.
In generale, vige comunque un principio di leale collaborazione: considerando che il diniego del soggetto formalmente emanante presenta carattere ultimativo e non coercibile, si può ritenere che il proponente debba comunque favorire il consenso (se non obbligato) esternando una rosa di più soluzioni possibili.
Il collegio, conclusivamente, ritiene che una sia pur minima efficacia causale e, di conseguenza, ascrizione di responsabilità, non possa essere negata in capo al convenuto, in considerazione dell’individuazione e sollecitazione di una tipologia di atto (come illustrato) non rispondente, né per il profilo soggettivo né per quello oggettivo, ai presupposti normativi.
Infatti, detta attività ha spiegato una, sia pur minimale, efficacia causale nel rafforzamento della determinazione dell’organo di vertice all’incardinamento, risultando causalmente orientata almeno sotto il versante morale.