E’ legittimo il procedimento disciplinare basato su un messaggio di whatsapp rivelato all’ente da chi lo ha ricevuto

Tar Sardegna, sentenza n. 174 del 14 marzo 2022

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nelle varie pronunce concernenti licenziamenti irrogati per la trasmissione di missive o e-mail denigratorie, non ha mai considerato la natura ‘‘riservata’’ della corrispondenza né l’assenza di volontà divulgativa, valutando invece la portata diffamatoria delle espressioni utilizzate dal lavoratore e l’eventuale esercizio del diritto di critica (cfr. ex multis Cass., 20 settembre 2016, n. 18404; Cass., 9 febbraio 2017, n. 3484; Cass., 10 novembre 2017, n. 26682; proprio con riferimento all’applicativo whatsapp cfr. Cass., 6 settembre 2018, n. 21719).


Ancora, in senso critico, si è rilevato in dottrina che non sono pertinenti i principi di libertà e segretezza della corrispondenza, sanciti dall’art. 15 Cost., che sì ne precludono agli estranei la cognizione e la rivelazione come previsto dagli artt. 616 e 617 c.p., ma non sono invocabili laddove il datore di lavoro abbia conosciuto il contenuto della comunicazione non in violazione delle predette norme, bensì per la rivelazione che il partecipante alla comunicazione ne abbia fatto.


Invero, per i partecipanti alla conversazione, non vige alcun divieto di rivelazione né di divulgazione, ferma restando, naturalmente, la responsabilità per l’eventuale diffamazione insita nella divulgazione (cfr. Cass. Pen., Sez. V, 26 settembre 2014, n. 40022), poiché, analogamente a quanto avviene per la normale corrispondenza, non può essere considerata contrastante con la normativa sui dati personali l´eventuale successiva presa di conoscenza della e-mail da parte di soggetti estranei al circuito di posta elettronica, quando il messaggio non sia stato indebitamente acquisito da questi ultimi, ma ad essi comunicato da parte di uno dei destinatari del messaggio stesso (cfr. Parere del Garante per la protezione dei dati personali, 12 luglio 1999).


Tale ultimo passaggio è pienamente aderente al caso che oggi occupa, in quanto risulta che sia stata la partecipante alla conversazione a renderne noto il contenuto all’amministrazione, sicché si appalesa anche di non primaria rilevanza la questione circa l’applicabilità o meno al caso di specie del dovere di comunicazione ai sensi dell’art. 748, comma 5 lettera b) del Testo Unico delle disposizioni regolamentari D.P.R. n. 90/2010, relativo alle “Comunicazione dei militari”.
Peraltro, deve aggiungersi che, anche alla luce di quanto chiarito, una volta che l’amministrazione ha conosciuto il contenuto della conversazione, che è stato reso pubblico dall’altro interlocutore, non poteva non tenerne conto ai fini della valutazione, che le è propria, in merito alla rilevanza disciplinare delle affermazioni rese dal ricorrente.

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