Per il reato di riciclaggio non è necessario che il reato presupposto sia accertato giudizialmente

Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza n. 7503 dep 2 marzo 2022

I giudici territoriali, nel disattendere le censure formulate dall’ imputato in ordine alla sussistenza della contestata operazione di riciclaggio, ritenevano comprovato, sulla scorta del complessivo compendio istruttorio, che l’imputato, senza concorrere nel reato ex art. 2 D.Lgs. 74/2000 di emissione di fatture per operazioni inesistenti commesso da X in qualità di legale rappresentante della società Y, aveva compiuto operazioni in modo da ostacolare la provenienza da delitto della somma di euro 150.000,00 ricevuta in contanti dal X.

In materia la Suprema Corte ha premesso che l‘elemento soggettivo del delitto di riciclaggio è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep.11/01/2011) Rv. 249445), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879).

Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, Antonicelli e altri, Rv. 259010). Per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206; Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374; Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581; Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444; Sez. 4 n. 11303/97, dep. 9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007).

Ciò premesso, va osservato che la corte territoriale, valutate adeguatamente le censure di parte ricorrente, ha correttamente ricostruito i profili di responsabilità dell’imputato relativamente al reato di riciclaggio contestato rilevando come il teste chiave era stato chiaro e circostanziato nel riferire che erano stati versati al X euro 150.000,00 depositati in nero in Svizzera e successivamente transitati in Austria provenienti da operazioni inesistenti per cui aveva patteggiato la pena, precisando come non sussistevano ragioni per dubitare della genuinità del suo narrato, non essendo emersi elementi di astio o risentimento.

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