Corte di Cassazione, sentenza n. 13351 del 28 aprile 2022
La Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare che “In materia di pubblico impiego, il contributo, da parte della P.A., alle spese per la difesa del proprio dipendente, che sia imputato in un procedimento penale, presuppone l’esistenza di uno specifico interesse proprio dell’Amministrazione, che sussiste ove l’attività sia imputabile alla P.A. e, dunque, si ponga in diretta connessione con il fine pubblico, dovendosi ritenere che il diritto al rimborso costituisca espressione di un principio generale di difesa volto, da un lato, a tutelare l’interesse personale del dipendente coinvolto nel giudizio nonché l’immagine della P.A. per cui lo stesso abbia agito, e, dall’altro, a riferire al titolare dell’interesse sostanziale le conseguenze dell’operato di chi agisce per suo conto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, di diniego del rimborso delle spese legali in favore di un dipendente dell’Agenzia delle Entrate, accusato dei reati di truffa e falso materiale ed ideologico, ritenendo irrilevanti sia la carenza di procedimento disciplinare sia la mancata costituzione di parte civile del datore di lavoro nel processo penale, conclusosi con pronuncia di assoluzione): Cass. n. 2366/2016.
Il principio, cui il Collegio intende dare continuità, è stato ribadito, fra altre conformi, da Cass. n. 20561/2018, che ha escluso la sussistenza delle condizioni per il rimborso in relazione ad un procedimento penale per timbratura del cartellino marcatempo di altro dipendente, a nulla rilevando l’intervenuta assoluzione.